Interview with the comic Artist 


Cartoon in Khartoum - Intervista a Khalid Albaih

Pubblicato su Linus, maggio (2015)

Giocando con il nome della capitale del suo paese, il Sudan, Khalid Albaih ha chiamato il suo progetto khartoon. Lievemente ironico, ma sostanzialmente politico, è un disegnatore fuori dagli schemi africani. Non fa vignette satiriche, ma usa il disegno per consegnare un messaggio politico. Ovviamente è in esilio dal sul paese dove, come mi ha raccontato a Perugia al Festival del giornalismo, pochi giorni fa hanno chiuso 17 quotidiani in giorno. Così vive in Qatar e lavora come curatore in museo. Non è purtroppo comune incontrare un disegnatore nero: prima di lui avevo conosciuto solo Ho Che Anderson. E come Anderson, ha una chiara visione di questo suo essere raro e del perché è così complicato fare critica politica attraverso il disegno vivendo in paesi autoritari. Tuttavia, proprio come il biografo a fumetti di M. L. King, non usa mezze parole per descrivere quella che per lui è “l’ipocrisia del colonialismo del pensiero”.

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Interview Matti Hagelberg 

Published in inguineMAH!gazine #11 – 2007

  1. Let’s introduce yourself…what about your storylife?


i was born 1964 near helsinki, studied in the university of art and design from 1985 to 1993. started my career as a professional comix artist 1992 with B.E.M. #1. B.E.M. #12 came out in 2004 and it’s called KEKKONEN. now i’m working on number 13 and 14


  1. May you tell us something about comic scene in your country? It seems to be alive and rich of stiles and culture…

  1. the first comic appeared in your country in 1925, I think it was Pekka Puup di Fogli: I suppose it was the first comic in the Nothern countries at all. Why there is this “old” tradition in Finland?


i dont have a clue. i dont think pekka puupää was the first comic in northern countries, at least it wasnt the first in finland.


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“Fred Flintstone incontra Dante…” Intervista a Matti Hagelberg 

Pubblicato inguineMAH!gazine #11 – 2007

La scena del fumetto dei paesi nordici riserva molte sorprese per chi riesce ad accostarsi, magari utilizzando qualche traduzione francese o in altra lingua, a questo mondo piuttosto lontano dal nostro. Intendo lontano non tanto per motivi di distanza territoriale ovviamente, ma soprattutto per cultura visiva e per tradizione narrativa. Se facciamo una breve ricognizione sulle nostre conoscenze della cultura di Paesi come la Finlandia, la Svezia, la Norvegia, vediamo che non siamo in grado di recuperare più di 2 – 3 nomi tra scrittori, scrittori per il teatro, registi…Insomma, uno scarso raccolto.


La sorpresa invece è tangibile: non solo per la maturità e l’originalità di autori come Matti (tradotto in varie lingue, è insieme a Pentti Otsamo l’autore più tradotto di questo Paese), ma anche per il volume di fumetti consumati l’anno. 

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La Turchia ride: intervista ai fondatori della rivista LeMan

dal catalogo del 2° Festival internazionale del fumetto di realtà Komikazen, (2006/2007)

Dove sta l’underground? Esiste e resiste davvero? È mai esistito? A volte penso che sia un fantasma che si aggira peregrino tra le bocche di coloro che masticano trendismi. Poi capita che incontri fisicamente, fiato a fiato, chi questo benedetto sotterraneo l’ha costruito, ci abita ancora e paga anche l’affitto. Forse sopra succedono altre cose, un po’ come nel film di Kusturica, la cosiddetta realtà ha preso altre sembianze, ma sotto ancora i fotogrammi non si sono bloccati. È la sensazione che si è percepita all’incontro organizzato nel calderone dell’HIU a Milano di quest’anno. Presenti Ron Turner, proprio lui, il fondatore di Last Gasp, con barba e manierismo da americano vissuto in altra epoca, e il gruppo di World War III, i naturali epigoni di un mondo di creazione di immagini che ancora proprio nei controversi Stati Uniti presenta interessanti esperimenti.

Certo, penso, tutti maschi: fino a che il fumetto non si accorgerà che l’unica rivoluzione minimamente riuscita nel secolo trascorso è stata quella di genere…ma non voglio polemizzare su questa dolente assenza. Le donne non ci sono in questo mondo, o ci sono solo sporadicamente, nelle riserve per indiani delle mostre o pubblicazioni al femminile. Oppure in casi di genialità indiscutibile. La mediocrità non è permessa.

Dunque, questa è la fauna a disposizione, l’incontro è caldo, forse sovraccarico di reducismo, ma comunque vivo nel “sotterraneo” del Leonkavallo che forse esala gli ultimi respiri.

Introduce il moderatore: “Che cos’è l’underground? Nelle sue migliori esperienze, come quella di Last Gasp, è orizzontalità, non ufficialità, ma mai marginalità” Sarà vero, mi chiedo. Stiamo a sentire. Ron Turner comincia a raccontare pezzetti elaborati del suo passato, è chiaramente il blando reducista di cui sopra. Ha la barba da uomo degli anni sessanta, ha il volto degli Stati Uniti che non ricordiamo più, è una specie forse in via di estinzione e forse anche per questo riesce naturalmente simpatico: “La mia vita, negli anni in cui ho cominciato, era caratterizzata da lavoro (ero di famiglia povera e dovevo fare 2-3 lavoretti per mantenermi), sciopero, polizia, tornare a casa sballati, ancora polizia, ancora lavoro, ancora sciopero, e via di seguito. Un giorno qualcuno mi passò un giornaletto chiamato Zap Comix. Erano dieci anni che non leggevo fumetti. Entrai nel trip: trovai il modo di comprarli.

In mezzo a tutti, i fumettisti erano il gruppo che trovai più creativo, avevano solo un unico difetto. Erano artisti, ed erano fuori come me. Comincia a pensare che era il caso di pubblicare qualcosa, ovviamente anche per aiutare il movimento. C’era un gruppo di ambientalisti e ci legammo a loro. Quella prima pubblicazione fu tirata in 20.000 copie. Il problema era distribuirli. Lo stesso gruppo per il quale il materiale era stato prodotto me ne chiedeva 10 copie!!! In più la gente di NYC ci criticava: dicevano, non hai usato tutto lo spazio bianco a tua disposizione per dare un messaggio. Decisi che di fronte al militantismo, era meglio il fumetto. Mi sembrava più libero”. A questo punto il racconto procede sulla ormai famosa vicenda della sua versione di Topolino e Minnie in cui c’era anche il sesso. Fu una questione editoriale complessa: ci fu anche un procedimento giudiziario, che ovviamente fu perso da Turner e i suoi. Ma cosa succede oggi sull’altra sponda, viene da chiedersi spontaneamente.“ Allora i fumetti underground si compravano sottobanco, c’era anche qualcosa di emozionante in questo. Ora il mercato è cambiato. Noi abbiamo ancora 2000 titoli in catalogo, ma è molto dura la distribuzione. Le librerie tendono a non accettare gli spillati e quindi il prodotto cambia per forza, diventa libro rilegato, si indirizza anche ad un altro pubblico. Questo ha causato la moria di moltissimi distributori: negli anni ’80 c’erano trenta distributori, di questi, ventotto sono scomparsi e solo 2/3 sono nati, e sono molto piccoli. Che cos’è oggi l’underground? È difficile rispondere a questa domanda, forse con le parole che disse una volta Crumb per rispondere a questa domanda, è tutto quello che non esce con cadenza mensile”. Gli epigoni presenti, ovvero World War III Illustrator, sembrano diversi, sono sicuramente più schierati e dichiaratamente militanti. Dice infatti lo stesso Seth, uno dei fondatori del gruppo: “Ci sentiamo artisti che producono per i movimenti, non solo fumetti, ma poster, pagine per il Web, abbiamo lavorato per Ars And Action per protesta contro la guerra. Una delle cose che mi rende più felice del lavoro che facciamo è che, ad esempio, quando c’è stata la protesta di Seattle, io non potei essere presente. Ma gli amici che c’erano mi raccontarono di avere visto molti ragazzi tatuati con miei disegni. Loro probabilmente non sapevano neanche chi li aveva realizzati, ma per me è stato un modo per dire di essere stato comunque lì”. World War III viene peraltro distribuita in modo diverso dalle produzioni di San Francisco: il gruppo si appoggia ai gruppi attivisti delle varie città, ai negozi di dischi legati alle etichette indipendenti, ai singoli che si rendono disponibili.

Mi sento piuttosto avvolta dall’aura di questo sotterraneo. Mi aspetto che di minuto in minuto una sposa vestita di bianco cominci a roteare, pendendo dal soffitto con sottofondo di musica balcanica.

 

Forse è vero che l’underground è orizzontale, non ufficiale, mai marginale, anzi spesso linfa vitale per il business dell’immagine, ma il sentore di cantina in cui l’onirico prevale sul razionale c’è sempre. Sapete, quell’odore acido e accattivante di muffa…

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Un'intervista con Wostok

Intervista a Julie Doucet, inguineMAH!gazine n°1 – anno 1 (2003)

Wostok non è il nome di una vodka serba, ma lo pseudonimo di un disegnatore, poco conosciuto in Italia, ma ben noto nel suo Paese, e anche in altri paesi europei. Per gli appassionati: vi ricordate la copertina del primo Stripburek, con un uomo vestito in abiti tradizionali sulla luna? Bene, era proprio del nostro. Abbiamo pensato che fosse un peccato che la sua verve dissacratoria direttamente proveniente dal profondo underground balcanico non fosse nota anche in Italia. Così abbiamo deciso di pubblicare questa storia, non proprio nuovissima, ma che ci aveva divertito molto. Lo abbiamo anche incontrato alcuni anni fa al festival di Pancevo GRRR! Presentava in diretta al pubblico un suo cortometraggio, in cui comparivano Zagor e il suo aiutante che combattevano contro gli indiani sniffacolla. Tutto era ambientato nel cortile del suo giardino e gli attori erano vicini di casa, il padre e lo stesso regista: visto che il cortometraggio non era poi tanto corto ed era soprattutto in serbo, la visione era velocizzata e sottotitolata dal vivo dallo stesso Wostok…l’effetto era una sorta di b-movie in cui Franco e Ciccio in versione serba venivano tradotti in inglese da Ollio…è inutile dire che è stata una visione indimenticabile.


E: Wostok, chi sei? Vuoi presentarti…


W: Sono un curatore, editore di fanzine, disegnatore, regista di trsh film, lavoratore manuale, baby sitter, sognatore e fannullone della città di Vrsac nel nord della Serbia.


E: Raccontaci qualcosa del tuo lavoro: pubblichi direttamente i tuoi fumetti o pubblichi anche mediante editore? Cosa ci dici in generale sull’editoria in Yugoslavia.


W: Pubblico i miei lavori direttamente quando ce la faccio, altre volte con un editore. I miei lavori sono stati pubblicati su libri di lusso, riviste letterarie ma anche su numerose Xerox zines. Devo confessare che per me la piena libertà di espressione è molto più importante dell’aspetto esteriore delle pubblicazioni in cui compaio.


E: I tuoi lavori sono spesso sarcastici e in un certo senso i protagonisti sono eccessivi, le storie non sono realistiche, ma una distorsione della realtà. Sei d’accordo con questa interpretazione? Come può essere definito il tuo lavoro?


W: Sì, concordo con la tua interpretazione, soprattutto quando dici che le mie storie sono di fatto spesso “una distorsione della realtà”. I penso che quello che vediamo come realtà nella vita di tutti i giorni è così deformato e lontano dalla verità, che l’unico mezzo attraverso cui noi possiamo giungere più vicini alla verità è di distorcere e capovolgere al massimo la nostra visione, allora, quando tutto diventa assurdo, stupido e buffo forse possiamo vedere la vera verità nascosta dietro il muro dell’illusione quotidiana.


E: Hai scritto in una mail che uno dei tuoi libri preferiti è Kaputt, di Curzio Malaparte. Sono rimasta colpita da ciò, visto che questo libro non è poi così famoso neanche in Italia. La cultura italiana e la letteratura hanno un posto importante nella tua vita? In generale, mi sembra che nell’Ex Yugoslavia siete stati molto toccati dalla cultura italiana. È vero anche ora o è un fatto del passato?


W: Sì, ho trovato Kaputt uno dei libri più impressionanti tra quelli che ho letto in molti anni. Mi piace quella mistura di Malaparte di fatti, realtà, sogni, e strane visioni. Per me Kaputt dice molto di più sulla Seconda Guerra Mondiale di altri libri basati esclusivamente sui fatti. Sì, la cultura italiana ha avuto un grosso impatto sulle culture della Ex Jugoslavia. Saresti sorpresa nello scoprire quanto Alan Ford ha influito sui nostri fumetti, film, musica rock, teatro.. praticamente su tutti i campi della cultura!

E: E ora, dicci qualcosa su questa storia. Chi è il protagonista? Che tipo di personaggio rappresenta?


W: Questa storia è stata originariamente scritta da Nabor Devolac, uno scrittore, attore, musicista underground e artista sperimentale della mia cittadina. Il protagonista Stojan è un tipico personaggio originario delle montagne dei Balcani a prescindere dalla sua nazionalità. Rappresenta un uomo agli estremi totali! È assolutamente buono e assolutamente cattivo, con se stesso o la gente, infantile, bizzarro, divertente … e a volte pericoloso!


E: So che hai realizzato alcuni cortometraggi. Ci dici qualcosa di queste produzioni…


W: Dal 1997 al 2001 ho ripreso circa 40 cortometraggi “low fi”. Molti personaggi strani e lunatici del mio paese hanno preso parte a questi film sperimentali.


E: Vivi in un piccolo paese, come Zograf. È una scelta, un problema o solo un caso?


W: Una volta ho detto che “Sono nato, vivo e vivrò tutta la mia vita sicuramente a Vrsac!”. Una cittadina piccola, ma interessante in cui esiste il più grande ospedale psichiatrico del nostro Paese. È semplicemente impossibile vivere in questa città e non notare tutti gli strani personaggi che girano nel parco, alla fermata dell’autobus, o nel centro della città. Trovo questa ambientazione di grande ispirazione per un artista sperimentale come me.


E: …Ma, anche se vivi in questa piccola città, stai sempre producendo qualcosa e trovi sempre storie da raccontare. Ci puoi dire qualcosa dei tuoi progetti futuri?


W: Credo di essermi tirato indietro un po’ troppo fino ad adesso. Ora sto cercando di comunicare il mio lavoro molto più di prima.


E: Un’ultima domanda: se tu fossi un editore, con un pacco di soldi che vuoi spendere, che fumetti ti piacerebbe pubblicare in Serbia?


 W: Sai negli ultimi decenni ho tenuto un mucchio di workshop di fumetto con molti appassionati: partecipavano bambini, ragazzi, nonne, ecc.. Ho compreso che molti di questi outsiders hanno uno spirito molto più fresco e sperimentale dei fumettisti di professione! Mi piacerebbe pubblicare una selezione di questi “fumettisti naif!  

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Intervista a Danijel Zezelj

Intervista a Danijel Zezelj, inguineMAH!gazine #6 – anno3 (2005) 

Caro Danijel, ultimamente in Italia ti vediamo perlopiù in occasione di performance e seminari. Qual è il tuo rapporto con l’italia in questo periodo? Sei in contatto con qualcuno per pubblicare?


In Italia, sto ancora collaborando con Grifo Edizioni. Hanno infatti pubblicato la mia nuova graphic novel Small Hands ed anche una seconda edizione de Il Ritmo del Cuore, esaurita per un periodo.

Per alcuni dei miei lavori recenti, ho provato a contattare diversi editori italiani, senza però ricevere alcuna risposta. Stampare un libro o una rivista, non è più una cosa difficile e costosa, così praticamente chiunque può farlo da solo. Il problema è come distribuire e come raggiungere il pubblico (probabilmente è una cosa che conosci dalla tua esperienza con Inguine). Se io fossi in grado di risolvere questo problema, mi stamperei i libri da solo.

Le performance multimediali sono state per me una strada per cambiare la tecnica di lavoro ed anche una metodologia per collegare arti visive alla musica (tutte le performance sono state realizzate in collaborazione con Jessica Lurie, compositrice e sassofonista). Oltretutto, le performance sono un metodo per raggiungere il pubblico direttamente, presentare le mie graphic novel ed anche la musica e i CD di Jessica. È un lavoro molto impegnativo, con un grande coinvolgimento fisico ed emotivo, ed ancora non sono sicuro se abbia un senso.


Qual è stata la tua esperienza italiana? Puoi essere onesto e cattivo!


Sono arrivato in Italia alla fine del 1991, dopo avere lasciato l’Ex Yugoslavia e passato sei mesi a Londra. Visto che mi avevano buttato fuori dall’Inghilterra (polizia dell’immigrazione), l’Italia era l’unico paese nel quale speravo di potere rimanere a lavorare. In questo senso, L’Italia ha salvato la mia vita. La gente di Montepulciano, che a malapena conoscevo, mi ha accettato e aiutato. Ho lasciato un pezzo del mio cuore in quel posto e devo molto a quelle persone.

Penso tra l’altro che l’Italia sia un posto speciale. C’è un commistione e uno scontro di molte diverse influenze, buone e cattive, ma c’ancora un forte senso comune, una gioia di vivere, che mira sempre al lato solare delle cose. C’è una lotta continua tra differenti forze, idée, tendenze (politiche, culturali, sociali…), ma fintanto che c’è lotta c’è speranza. Capissco che è una visione molto soggettiva, ma è il modo in cui io la vedo, probabilmente anche perché sono outsider.


Ora, vivi nell’impero “del male”…cosa significa essere un disegnatore europeo, croato, ex yugoslavo negli USA?


Significa essere un immigrato, ovvero non sentirsi mai a casa, non sentirsi mai a proprio agio, rilassato e tranquillo. Significa che non puoi mai divenire una parte di un gruppo, ma sei sempre un outsider e devi continuare a vivere, pensare ed agire come un individuo ai margini. Ma questo sforzo continuo ti mantiene vivo e vigile, ed è un elemento che considero positivo. Perché da solo puoi essere buono, mentre in gruppo puoi divenire un animale. Dunque, la mia posizione in questo “impero del male” è la medesima che avrei in altri luoghi – vivere giorno per giorno, cercando di sopravvivere.


Hai ripetuto due volte che ti consideri un outsider. Cosa significa per te questo termine esattamente, non avere padroni, non avere maestri, oppure…? C’è qualcuno con il quale ti senti di avere una “parentela” in questo senso? In fondo gli USA sono il paese degli immigrati per natura…Non credo che sia semplicemente perché tu provieni da un altro paese a farti sentire così.


Con il termine outsider intendo qualcuno “che non appartiene”. Significa questo – cercare di rimanere fuori da relazioni che sottintendano un capo e un seguace, un ordinatore e un ordinato, uno che sta sopra e uno sotto. È difficile ricavarsi uno spazio simile, perché tutto il sistema si basa sul principio della competizione, sull’essere o uno che controlla o uno che è controllato. Questo è quello che ti insegnano in famiglia, a scuola, all’ufficio, in TV…Sto cercando di evitare questo sistema il più possibile (spesso è impossibile) – e questo automaticamente mi pone nella posizione di outsider. Credo nell’esistenza non basata sulla dominazione e il controllo. L’unico spazio in cui questa esistenza è possibile è lo spazio della relazione personale basata sull’amore e il rispetto, e lo spazio della creatività. Questi sono la mia patria, i miei territori di libertà.

Puoi dire che gli USA sono stati fondati dagli immigrati e sull’idea del mondo libero indipendente. Ma visto che i valori materiali hanno sorpassato ogni altro valore, l’idea di libertà si è trasformata nell’idea di proprietà. Così eccoci qui.


Qual è la tua identità? È una domanda che per te ha un senso?


Parzialmente ho già risposto a questa domanda in precedenza. L’identità non può essere definita da nulla, ma solo dal tuo cuore, dalla tua testa e dal tuo corpo. Può sembrare astratto, ma vivo questa situazione molto concretamente, in modo pratico tutti i giorni, non sempre come scelta, ma sempre come una necessità.


Mi chiedo se ci sia una relazione tra questa tua strenua difesa dell’identità personale, individuale, e il fatto di provenire da uno stato che non esiste più e che ha vissuto uno scontro feroce proprio sull’identità comunitaria.


Probabilmente. Visto che non esiste nessun luogo fisico che io posso chiamare “la mia patria”. Sono quasi ossessionato dall’idea di difendere e preservare lo stato indipendente di me stesso. Cosa che a volta sembra ridicola persino a me. Ma penso che il concetto di “identità comunitaria” sia un mito pericoloso.


Parliamo ora più nello specifico del tuo lavoro. Mi riassumeresti, dal tuo punto di vista, il tuo stile con tre aggettivi?


Forse ne userei solo due, bianco e nero. Inoltre, penso che lo stile sia un elemento superficiale e irrilevante. Lo stile è solo un strumento di comunicazione, una tecnica, esso dovrebbe sottostare all’idea o all’emozione che si vuole esprimere.


Il tuo segno sembra molto xilografico. Hai mai realizzato xilografie o incisioni? Se tu non disegnassi, che cosa vorresti fare?


Ne feci alcune durante gli studi all’Accademia di Belle Arti a Zagabria. Tra l’altro, ho studiato pittura e il mio approccio e la mia visione provengono da un esercizio sulla pittura classica, tradizionale. Soprattutto dallo studio della pittura barocca e del chiaro/scuro. Un’altra influenza importante sono stati i film muti in b/n – dell’avanguardia russa e dell’espressionismo tedesco. La qualità visiva di questi lavori è rimasta insuperabile.


Ora vivi tra gli States e Zagabria, dove hai fondato Petikat. Ci racconti qualcosa di questo progetto?


Petikat è uno studio grafico e una casa editrice che è stata fondata da me e da due miei amici, Stanislav Habjan e Boris Greiner. Abbiamo cercato di operare come un laboratorio autosufficiente dove ogni parte del processo, dal creativo all’editoriale, fosse sotto il nostro controllo.

Boris e Stanislav sono anche scrittori, e il nostro obiettivo primario è di pubblicare il nostro lavoro (eventualmente anche quello di altri artisti e scrittori). Curando anche la parte grafica, cerchiamo di coprire i costi di produzione dell’editoria e di non dipendere dalle vendite. Cosa che sarebbe ridicola peraltro, in un paese con solo 4 milioni di abitanti che leggono e parlano croato.


Cosa succede ora in Croazia? Intendo ovviamente nel mondo del disegno, ma anche nella vita di tutti i giorni.


La Croazia, in particolare Zagabria, ha una forte tradizione nel disegno e nell’animazione. La Zagreb Film è stato uno degli studios più rispettati e creativi nel mondo durante gli anni ’60 e ’70. In qualche modo, esperienze importanti nel fumetto sono emerse anche durante gli anni ’80, nel periodo di Frigidaire in Italia, di Metal Hurlant in Francia. Anche adesso sembra che un mucchio di disegnatori di talento croati lavorino per DC Comics e Marvel. Il lavoro è buono, ma non trovo niente di interessante o stimolante, in quanto è un tipo di fumetti che non leggo o seguo. Al momento non c’è nessuna rivista o pubblicazione in Croazia che presenti fumetti in forma artistica con ampia possibilità di espressione e comunicazione – o fumetti che siano espressione della scena culturale, politica o sociale (nel modo in cui viene fatto da Stripburger, o Strapazine, Inguine, WW3…ed altre pubblicazioni simili).



Tutti abbiamo progetti nel cassetto, cioè idee e progetti in attesa di essere realizzati, possibili o futuribili. Quali sono i tuoi?

In questi giorni sto cercando di finire un’altra graphic novel, il cui titolo provvisorio è Stray Dogs. Questa storia ha molto a che vedere con il concetto “di non appartenenza” – come condizione, necessità, imposizione, scelta. Sto lavorando a questo progetto da tempo e il Gardner Museum di Boston ne valuterà la pubblicazione. Vedremo se andrà in porto. Sarebbe un interessante connessione tra la graphic novel e un’istituzione museale molto seria e tradizionale.

Un altro progetto è una sceneggiatura sulla quale lavorerò insieme al regista e cameraman Mario Amura.


Qualcuno sostiene che tu e Zograf siate come Bregovic e Kusturica. Uno è andato all’estero, l’altro è restato. Che cosa ne pensi?


Questo è un confronto veramente triste. Prima di tutto, ho poco rispetto del lavoro di Kusturica e non ne nutro nessuno per quello di Bregovic. Invece rispetto molto Zograf e il suo lavoro. In secondo luogo, io e Zograf abbiamo esperienze e background molto differenti in relazione alla vita e alla guerra in Ex-Yugoslavia. Confrontarci solo perché proveniamo dalla stesso stato scomparso è superficiale. Rifiuto qualsiasi classificazione per deduzione e generalizzazione, usata spesso dai media, dai politici, ecc. ….che niente hanno a che vedere con la vita vera. Le ragioni per cui Zograf è rimasto in un luogo e il mio andare via sono personali e soggettive e spiegate al meglio dal nostro lavoro. E questo è quello che conta. 

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Intervista a Julie Doucet

Intervista a Julie Doucet, inguineMAH!gazine n°1 – anno 1 (2003)

Julie Doucet è nata nel 1965 nel Quèbec francofono. Ex-fumettista, ha vissuto a Montreal, New York, Seattle e Berlino. Attualmente vive in Canada. Nel 1991 ha vinto l’Harvey Award come miglior nuovo talento e ha pubblicato sulle più importanti riviste del settore tra cui “Weirdo”, la rivista curata da Robert Crumb. Ha pubblicato su talmente tante pubblicazioni che non abbiamo lo spazio per nominarle tutte, quindi non ne citiamo nessuna.


A domanda – risponde.


Disamorarsi del fumetto?

D: Si mormora in giro che tu stia abbandonando il fumetto, o che comunque questo stia diventando una parte molto limitata della tua attività. E’ un disamoramento o un cambiamento di indirizzo temporaneo?

R: Si, mi sono allontanata dai fumetti: sono più di tre anni e mezzo ormai, e ho paura di non essermi pentita di avere smesso di disegnare fumetti in assoluto. L’ho fatto ininterrottamente per 12 anni, non facendo nient’altro. Mi è venuto un rigurgito, ero stanca di così tanto lavoro per così pochi soldi, tanto da non avere chance di continuare a disegnare se volevo mangiare. Nessuno mi credeva quando dico che per me è storia finita, ma è vero. Sto facendo un mucchio di altre cose ora, disegno, acquaforte, xilografia, incisione in linoleum e un mucchio di piccoli libri stampati in serigrafia.


Sogni e disegni

D: In alcune strisce ci sono cronache di alcuni sogni che tu hai fatto. In altri autori i sogni hanno un ruolo in un certo senso centrale. Pernso ai sogni di Crumb e ovviamente a quelli di Zograf. Ritieni che disegnare sogni sia una sorta di flusso di coscienza e che ci siano connessioni tra il modo di narrare le storie nei fumetti e il modo con cui i sogni ci appaiano?

R: Ho disegnato i miei sogni perché erano molto strani e in un certo senso essi avevano un valore estetico per me. Nel mio modo di vedere le cose essi avevano un valore prettamente estetico, il raccontare storie e le figure… non sono molto addentro al discorso esoterico, tipo coscienza attraverso i sogni… non so come rispondere all’ultima parte della tua domanda.


Il racconto delle cose

D: Una parte caratteristica che balza agli occhi nelle tue storie è l’attenzione al dettaglio della scena, dell’ambiente che circonda i personaggi. Sembra che raccontino, a volte, più gli oggetti che i ballon. E’ stata una scelta consapevole o è nata mentre disegnavi, senza un processo di selezione?

R: In molti casi è stata una decisione consapevole lo scegliere che cosa andava raffigurato all’interno della sequenza, oggetti, dettagli ecc… a me no che tu non abbia visto qualcosa che io non vedo?


Del ritratto

D: Le ultime serie di lavori che ho avuto occasione di vedere erano “ritratti” o macchiette. Che cosa ti ha portato a lasciare il racconto narrativo e a passare alla sintesi della tavola unica?

R: Sono sempre stata affascinata dai visi, dai ritratti: trovai un fascicolo con delle foto nella spazzatura in un parco di Berlino, e realizzai una loro interpretazione in incisione in linoleum. Dal mio punto di vista tutto è concentrato sui visi, ma anche l’interpretazione, la nuova tecnica era importante. Avevo sicuramente bisogno di allontanarmi dai fumetti e fare cose radicalmente diverse, per cambiare completamente il mio approccio.


I tuoi viaggi

D: Ho saputo che hai fatto un viaggio in Francia nell’ultimo periodo. Che cosa hai visto? Pensi che la Francia sia ancora il centro almeno del mondo europeo dei fumetti o qualcosa è cambiato? Che cosa consideri più interessante al momento?

R: Ho passato dieci giorni a Parigi in gennaio. Anche se sono andata ad Angouléme, non è stato un viaggio stimolato dai fumetti. Ci sono andata solo per vedere vecchi amici. L’unica cosa che mi sento di dirti della scena del fumetto francese in questo momento è che tutti, autori, ma soprattutto gli editori, sono in guerra l’uno con l’altro! Non ho mai sentito così tante maldicenze in una volta in vita mia!!! Mi è stato detto che ciò è dovuto al proliferare di piccoli editori, e che il mercato (molto piccolo, anche in Francia) è saturo. Sono fuori dal giro delle cose nuove nel mondo del fumetto, tutto quello che posso dire è che il nuovo avviene in Europa, non negli Stati Uniti.


Tecnologia. Tecnologia??

D: La tecnologia ha un ruolo nella tua vita di tutti i giorni? E nel tuo lavoro? Che tipo di relazione hai con i nuovi media? E Che cosa sai o pensi dei fumetti in rete?

R: I computer sono meravigliosi strumenti. Amo le e-mail, amo poter mandare le mie illustrazioni ai giornali in questo modo. Li uso per scomporre i colori per la serigrafia… ma a parte questo, non ho assolutamente pazienza quando sono seduta di fronte ad uno schermo. Non funziona con me. Ho problemi nel sedermi di fronte alla tv a guardare un film senza fare nient’altro, e quindi… personalmente non vedo l’appeal dei fumetti nella rete. Uso il computer come strumento, ed ho problemi nel prenderlo in considerazione com un fine in se stesso… ma è un problema mio.

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