(Editoriale), inguineMAH!gazine#3 – anno2 (2004)
L’uomo è un vertebrato e ha un’anima immortale, nonché una patria, perché non diventi troppo spavaldo…Ogni uomo ha un fegato, una milza, dei polmoni e una bandiera; tutti e quattro questi organi sono di importanza vitale. Pare esistano uomini senza fegato, senza milza e un solo polmone; non esistono uomini senza bandiera…Per il resto l’uomo è un animale che bussa alla porta, fa cattiva musica, e lascia abbaiare il cane. Qualche volta se ne sta anche tranquillo, ma allora è morto.
Oltre agli uomini ci sono anche i sassoni e gli americani, ma non li abbiamo ancora fatti e zoologia la studieremo l’anno prossimo.
K. Tucholsky, da L’uomo, citato in Ballata di fine millennio, Cantoni – Ovadia.
America, america. Ha il nome di un italiano. Le sue bandiere vengono bruciate in tutte le piazze del mondo da giovani vestiti in jeans e sneakers. È troppo facile parlarne male, per poi ritrattare sulla via di Damasco. Eppure non si resiste alla tentazione. Se vuoi fare carriera, ne devi parlare male. Se vuoi visitare l’ombelico del mondo, ci devi andare. Se vuoi incidere, ci devi vivere. La sua cultura omologatrice e malata di analfabetismo di ritorno ci offre sempre il modello. La periferia crea, innova, ma il centro tracima e rigurgita il nuovo in vesti più sfavillanti e con caratteri più chiari e leggibili. Il centro del potere continua ad avere un fascino allucinatore: è un polo di attrazione immaginifica molto efficace e, non a caso, gli USA hanno interpretato come nessun altro impero, se non forse Roma nell’età di Augusto, l’importanza del controllo delle immagini. Direi non tanto il controllo: non sempre l’immaginificio è sotto il controllo del potere. Questa è una semplificazione inutile. Quello che importa è che il centro di produzione rimanga nel centro. Anche la dissidenza, la diversità, l’alterità viene digerita: basta solo che non si espanda in maniera pericolosa e che rimanga in nicchie di mercato e di distribuzione ben definite.
L’Italia ha una sua particolare relazione con l’altro mondo: una sotterranea, ma non per questo meno efficace, tendenza all’autarchismo culturale, erede bifronte di fascismo e PCI, porta la nostra penisola, soprattutto le sue élite culturali conservatrici, ad essere ritrose al riconoscimento intellettuale degli americani. La vecchia Europa e blablabla: il tradizionalismo non è solo dei reazionari e dei conservatori. Pavese, uno degli artefici insieme a Vittorini dell’introduzione della letteratura americana in Italia, scrisse della scoperta e dell’amore che nutrì per la cultura americana: Durante il fascismo ciascuno di noi frequentò e amò d’amore la letteratura di un popolo, di una società lontana, e ne parlò, ne tradusse, se ne fece una patria ideale…laggiù noi cercammo e trovammo noi stessi. La scoperta del Nuovo Mondo avvenne per la seconda volta a ridosso della Seconda Guerra Mondiale e divenne la patria adottiva di molti, grazie soprattutto ad un lavoro immenso di traduzione. E poi? Poi corsi e ricorsi, in questo continuo amore ed odio tra madre e figlia, conniventi, ma non disposte a riconoscerlo. Le temporanee sconfitte dei sogni di totalità e rivoluzione ci hanno fatto di nuovo voltare la testa verso quel mondo: Seattle ha aperto un piccolissimo e fragilissimo spiraglio sulla contraddizione, epicamente rappresentata dalla caduta delle Torri.
È interessante notare come il centro dell’impero si mostri anche nella sua fragilità di gigante con piedi di argilla. Per noi è ambiguità, ma per gli odierni indigeni dell’altra sponda non sembra questa la cifra di lettura. In generale il bianco e nero la fanno da padroni, parlano parole semplici e chiare, non filosofeggiano facilmente. Sono americani. Zoologia al prossimo numero.