Testo in catalogo per la mostra "Luogo Comune", Bologna, Festival Provinciale dell'Unità, 2004
Chi conosce Costantini per le sue virtuosistiche decorazioni, per l’ossessione bidimensionale e l’horror vacui dello spazio bianco, penserà ad una omonimia, vedendo la nuova serie di disegni realizzata per Luogo Comune 04. In realtà tale cambiamento di rotta, parziale a dire il vero, non esclude la ricerca grafica e decorativa (decorazione dell’esistenza, come l’ha lui stesso definita): i due modus si accompagnano e incontrano lateralmente. Li accomuna un segno terso e preciso, tanto da far apparire la traccia a mano libera come un risultato di programma di elaborazione grafica digitale, cosa peraltro ipotizzabile per uno sperimentatore di media. Invece Costantini regredisce, come se facesse un passo indietro prima della corsa: usa carta povera, da fotocopiatrice e nella riesumazione della linea assoluta, semplice, complice dei vuoti, intona piccole storie estrapolate dal contesto storico e narrativo nelle quali hanno avuto luogo. Sono le schegge informative che colpiscono i nostri neuroni e che, come visivamente rappresentato dal video che accompagna i lavori, costituiscono niente più che uno scarabocchio labile che attraversa il ritmo quotidiano del caffè e la sigaretta.
C’è sicuramente in questa opzione un’eco distinta dei lavori di Pettibon, la cui mostra alla GAM di Bologna ha lasciato un segno importante in questa serie di lavori. L’estemporaneità del segno, a volte quasi espressivo, di Pettibon si traduce in Costantini in grafismo lineare con peculiarità quasi geometriche. Si coglie anche, nella tessitura del testo, la predilezione per un calligrafismo arabeggiante, che a volte rende ardua l’interpretazione semantica: è un altro punto di incontro con il decorativismo insito in questo artista. La parola, e non più il simbolo o il pattern, diviene decorazione e ornamento. I disegni esposti sono piccoli brani di biografie impazzite: gli espatriati cambogiani USA dopo l’11 settembre che fino a pochi giorni prima parlavano solo inglese e guidavano bande a Los Angeles mostrano tatuaggi e gridano slogan dell’assurdo, i manifesti della Nollywood nigeriana si tramutano in quadretti dai gusti secessionisti…in tutti la parola, sintomo evidente e noto della storia fumettistica dell’autore, è arabesco indistinto, continuum evanescente e inestricabile. Sono testi di letture usuali, segni che significano se stessi nella nostra percezione sopita dell’informazione: il gesto, differente nella forma, non risulta molto differente nelle intenzioni da quello della migliore poesia visiva, di esperienze come quelle di Stelio Maria Martini, anche se in coloro che vengono sintetizzati con questa denominazione c’è una maggiore propensione all’aspetto semiotico e alla oggettualità del valore della parola che qui è assente.
Non possiamo quindi parlare di un Costantini militante: piuttosto di un recettore colpito che ha ritradotto i segnali in nuove forme. La realtà c’è e si vede, oppure questa è una utopica semplificazione. Cosa c’è di reale e pragmatico nella stilizzazione in bianco e nero delle figure che vediamo rappresentate, nelle storie implose raccontate con sintesi bruciante in questi segni? Costantini è sicuramente cambiato, ha realizzato una diversa estetica nei suoi lavori, ma questa non ha escluso il percorso fino qui intrapreso. Questa raccolta minuziosa e attenta di oggetti biografici rinvenuti non è altro che l’horror vacui del tempo tracimatore di storie e biografie.