Afriche e orienti

1° festival internazionale del fumetto di realtà Komikazen, testo in catalogo (2005)

“Il sogno era così chiaro e aveva un aspetto talmente reale che, appena sveglia, si mise a cercare febbrilmente la sua traccia nelle pieghe del cuscino, sotto la stuoia sulla quale si era addormentata per qualche istante”. Così l’artista, illustratore e fumettista franco-algerino Kamel Khélif, parla dei sogni dei protagonisti delle sue storie dedicate al popolo algerino e alle sue guerre per descriverne le paure e le condizioni reali.

Anche Komikazen, primo festival internazionale di fumetto di realtà, cerca tra le pieghe di un genere artistico come quello del fumetto, una direzione, un approccio, una tensione al reale. Una ricerca che suggerisce l’esistenza di spazi misti e linguaggi ibridi, dove spesso per orientarsi occorre rappresentare la realtà attraverso un genere narrativo basato sulla stilizzazione e l’antinaturalismo, un genere che la nostra preoccupata consapevolezza dei mezzi artistici spesso lo imputa di leggerezza.

In corso fino al 2 novembre presso il Museo della città di Ravenna, la mostra presenta cinque autori internazionali: le americane Phoebe Gloekner e Nicole Schulman, lo spagnolo Felipe Hernandez Cava, lo sloveno Tomaz Lavric e il fraco-algerino Kamel Khelif.

Il contesto che il festival intende definire e indagare è quello del fumetto di realtà: termine assunto sia come possibilità di scelta iconografica che come dimensione tecnica, espressione di uno specifico sguardo sul mondo. Gli autori presenti in mostra testimoniano una continua ricerca linguistica attraverso approcci alternativi alle strutture narrative proprie del fumetto, anche in relazione agli argomenti affrontati occorrenti di grammatiche particolari così come le storie che raccontano. L’implicazione con il reale avviene su più livelli e in diversi contesti: sia quello della cronaca contemporanea che dello stretto autobiografismo, quello legato alla concretezza del quotidiano o alla pratica della memoria che ripercorre e racconta la storia.

Uno scenario molto eterogeneo, quindi, dove gli approcci al fumetto sono spesso distanti, sia dal punto di vista tecnico e stilistico che a livello contenutistico e narrativo. Sicuramente comune è l’interesse per la memoria, in particolare per quella detta collettiva che non sempre coincide con quella codificata nella storia ufficiale ma che si complica intrecciandosi con la dimensione personale. Un interesse che esprime con precisione l’autore spagnolo Felipe H. Cava, che ricordando la sua attività negli anni settanta nel gruppo artistico-politico El Cubri, dice significativamente “non volevamo fare fumetto di genere storico. Non volevamo tagliare il tempo, bensì riempirlo”.

Redattore di riviste come Madriz e Medioz Revueltos, sceneggiatore di Finêtres sur l’Occident e Berlin 1931 insieme al disegnatore Raul, il lavoro di Cava è stato sempre molto legato alla pratica della storia come trasmissione e memoria, a cui ha sempre accompagnato un’ampia ricerca estetica che lo porta a domandarsi tutt’ora “se la narrativa del fumetto, e in speciali modo quando si parla di cose che rivivono in noi, è sempre da collegare al genere del romanzo”.

Nell’avvicinarsi al fatto storico, all’evento documentato, ai celebri personaggi della storia spagnola e europea, Cava adotta un punto di vista mobile senza pretendere visioni definitive. La narrazione che ne deriva non è un percorso chiuso e sicuro ma è attraversata da dubbi e contraddizioni in cui la memoria non offre appigli ma apre nuove questioni. L’ultimo lavoro, 11- M Once Miradas, opera collettiva sceneggiata da Cava, si confronta con il tragico attacco terroristico dell’11 marzo 2004. Un lavoro, quest’ultimo, che conferma la sua riflessione sul senso e la necessità del raccontare, sulla capacità, o meno, che si possa stabilire se “valgono tutte le estetiche per menzionare quello che non vogliamo che ci muoia impunemente, ma che ci sia restituito”.

Vicine a Cava le riflessioni che suggerisce Tomaz Lavric, parlando del suo lavoro e del rapporto tra fatto storico e finzione narrativa. Autore sloveno, noto al pubblico per Allarme rosso, Ratman e Racconti di Bosnia, Lavric esibisce stili diversi a seconda dei temi trattati, dichiarando che il fumetto rappresenta la perfetta combinazione tra la parola e l’immagine e ammettendo un rapporto di sinergia tra modalità di narrazione e storie narrate. In Racconti di Bosnia, Lavric racconta storie di gente comune aventi come cornice il conflitto balcanico, storie raccolte dai ricordi e dalle testimonianze delle persone e poi trasposte in una dimensione di finzione in cui, precisa l’autore, “tutte le storie sono vere o potrebbero esserlo”.

Di nuovo emerge l’ambiguità e, insieme, l’ingombro di un termine come “reale”. Ne offre un’ulteriore prova Phoebe Gloekner, autrice americana legata all’ambiente underground in cui ha esordito negli anni ottanta. Il suo più celebre lavoro Vita da Bambina, narra gli abusi subiti da una bambina da parte dal compagno della madre. L’autrice esibisce un linguaggio molto chiaro e lineare, stile a cui vanno certamente riferiti gli studi di disegno anatomico che ha frequentato. Nei lavori più recenti la tecnica si complica. L’autrice crea fisicamente dei pupazzi, dei personaggi che poi attraverso la fotografia e la grafica vengono riportati all’interno della pagina diventando protagonisti di altre storie e situazioni. Il territorio in cui si muove la Gloekner è quella zona sdrucciolevole collocabile tra l’autobiografia e la finzione in cui alcuni protagonisti di tragici eventi di cronaca sono a colloquio con l’autrice che ne indaga le abitudini, gli oggetti personali e che chiede consiglio alle attrici del mondo dei fotoromanzi americani. La realtà nella sua concretezza non rimane certo un elemento coreografico. Entra prepotentemente in un mondo che di artificiale ha solo le facili seduzioni delle confezioni mediatiche ma che ne riproduce i medesimi meccanismi legati al potere, all’ingiustizia e alla sopraffazione.

Decisamente diverso il lavoro presentato da Nicole Schulman, fin dall’esordio legato all’ambiente militante dei gruppi pacifisti americani per la giustizia globale. Autrice di poster, manifesti, illustrazioni e tavole a fumetti, fra i suoi lavori più recenti Art no war dedicato all’artista Layla Al Attar, uccisa durante un bombardamento americano su Bagdad e i lavori raccolti in From The Struggle for Asia’s Oil dedicati alle guerre nell’area mediorientale e asiatica. Le sue opere presentano un segno netto e xilografico di cui lei stessa dichiara la matrice espressionista, in particolare quella vicina al movimento tedesco della Neue Sachlichkeit, nato fra le due guerre, e alla autrice Käthe Kollwiz.

La Schulman propone un fumetto di storia e cronaca che vuole informare, sensibilizzare e indurre ad un cambiamento sociale ed economico. Nel suo ultimo lavoro legato alla celebrazione del centenario della fondazione del I.W.W. (Industrial Workers of the World), il più radicale sindacato statunitense, l’autrice ripercorre alcune vicende legate alle lotte dei lavoratori americani di inizio novecento.

Kamel Khélif torna a riflette sul concetto di memoria portandola, però, al limite del riconoscibile. Nato ad Algeri e trasferitosi in Francia all’età di cinque anni, nelle sue opere è forte l’interesse per il dato autobiografico, così come per la storia di un intero popolo. Nel suo lavoro raccolto in La petite arabe qui aimait la chaise de Van Gogh, Le Pays qui est le vôtre e Les exilées histoires, emerge l’estremo pittoricismo di alcune tavole, dove con una virtuosa tecnica mista prendono forma i soggetti da lui più amati: la città di Marsiglia, città in cui vive, con i suoi immigrati e le loro storie di viaggi e abbandoni, di esili e perdite. Nei suoi lavori più visionari e informali, la memoria diventa una tessuto vivo e sorprendente che nasconde presenze misteriose e silenti, in sospeso tra la dimensione del ricordo personale e quello raccontato dai padri e immaginato dai figli.

La condizione dello straniero è una delle tematiche centrali del lavoro di Khélif indagata attraverso molteplici forme. Nelle fitte trame dei suoi lavori si possono distinguere, insieme ad architetture moresche e segni geometrici modulari, i tatuaggi che l’autore disegnava ai suoi amici come a suggerire i segni che lo straniero porta sulla sua stessa carne.

Khélif accompagna le sue storie illustrate con oggetti appartenenti alla sua infanzia – automobili giocattolo con la vernice rovinata e magari senza ruote – esposti insieme a cartoline illustrate di Algeri, dei suoi Hotel e delle sue piazze. Prevale una sensazione di perdita ma soprattutto di magia: una scatola di fiammiferi usata, sul cui dorso è stampata la fotografia delle collezioni “Gli avvenimenti del XX secolo”, mostra un Transatlantico che solca il Mediterraneo e racconta di viaggi, di speranze e paure al limite della storia.