in “Cartoline”, Adriatico Mediterraneo 2008
Quando ero bambina la Jugoslavia era per me il paese dei girasoli, delle automobili stracariche dei turchi di Germania e dell’avventura. Ho percorso per quattordici o quindici volte quella che veniva chiamata “l’autostrada della fratellanza” da Ljubljana a Belgrado, per poi continuare fino a Salonicco, ed ogni viaggio succedeva qualcosa di memorabile. Era il viaggio, quello vero.
Ora quel viaggio è diventato qualcosa di diverso. Non si ha più l’impressione di percorrere la vertebra di un paese dinosauro, ma si attraversano tanti piccoli stati che si assomigliano, ma hanno deciso di sostare sulle proprie differenze.
La generazione che oggi ha sedici, diciotto anni non ricorda nulla del paese che fu la Jugoslavia. Bastano questi anni perché si perda la memoria di un’identità, anche se l’ideologia purtroppo ogni tanto ne recupera a suo consumo gli elementi peggiori. Ho visto giovanissimi nazionalisti ricoprirsi di simboli ibridi in questi paesi, a metà tra la nostalgia titina e il neofascismo di Arkan. La confusione dei simboli (e purtroppo anche del pensiero) è a volte totale.
La generazione che si presenta in mostra è in un certo senso la generazione ponte. È nata tra il prima e il dopo, ha la memoria della Jugoslavia, ma è stata adulta nella Former Jugoslavia. Sono in grado di riandare con un velo di nostalgia alla propria infanzia, proprio perché infanzia e parte dell’epoca del ricordo più dolce, senza per questo smettere di criticare i retaggi peggiori lasciati dal vecchio paese. Allo stesso tempo indossano gli occhiali della criticità verso il contemporaneo, senza però essere nostalgici.
Questo non significa che le storie a fumetti parlino sempre e direttamente di politica, di fatti di cronaca, di critica sociale. La libertà espressiva del tratto e dei temi affrontati è totale. Ed è data da un’importante tradizione di cui loro sono gli eredi.
Certo Zograf è diventato famoso negli anni ’90 a seguito del bombardamento della sua cittadina, Pancevo, e delle lettere e delle storie a fumetti che venivano pubblicate negli USA e poi anche in Italia, mentre la NATO gettava i cosiddetti missili intelligenti. Ma Zograf era attivo già dalla fine degli anni ’80 e grazie a questa sua precedente attività aveva contatti con numerosi disegnatori nel mondo.
Veniva pubblicato all’epoca su pubblicazioni di piccola tiratura (come la storia “Cervello e cuore” o “Not a Sad Story about Death” in mostra) o in autoproduzioni, ma gli elementi fondamentali del suo stile erano già tutti presenti in nuce. Lo sguardo disincantato e stupito, la soggettiva forte con cui il lettore si trova a guardare e leggere le storie, il tratto che riprende un certo modo di disegnare dei naif. Tutto questo era già presente anche allora.
Sicuramente lo scarto nella produzione a fumetti è stato di altro tipo, ovvero nel mettere se stesso al centro della narrazione delle proprie storie. Tale aspetto è diventato un tratto peculiare del disegnatore serbo proprio a seguito dei bombardamenti. L’incredulità di fronte a quanto stava vivendo e la necessità di raccontare il procedere della quotidianità nella rottura delle regole “non scritte” del tempo di guerra lo spinsero a scegliere di diventare lui stesso il personaggio principale dei suoi fumetti. Egli in questo modo desiderava sottolineare il forte sguardo soggettivo (non puntava alla cronaca giornalistica o storica) e acuiva sicuramente allo stesso tempo la percezione di realtà di quanto stava raccontando, visto che una delle cose che si perde più presto quando si sta in guerra è la cognizione di cosa accada al nemico e dove stia la verità dell’informazione. Quindi comparivano sia il senso del limite (vi racconto questa storia unicamente dal mio modesto punto di vista), sia della veridicità (è la mia vita e io ci sono dentro).
Questa modalità narrativa è poi diventata la cifra stilistica del lavoro di Zograf, sia che lui ci racconti brevi e fulminanti frammenti delle città che visita, sia che ci faccia irrompere nei suoi sogni.
La forte soggettività e tensione emotiva della narrazione è comune in tutti gli autori serbi presentati, a prescindere dallo stile grafico. C’è di comune questo sguardo obliquo, irridente verso la “normalità”. È come se fosse sempre prevedibile l’inimmaginabile. Probabilmente è il portato della loro generazione.
L’irrazionalità del reale irrompe continuamente nel lavoro di Wostok, senza diventare però mai banale rovesciamento del mondo “normale”. Ci sono inoltre continue intrusioni letterarie, citazioni nascoste, allusioni al mondo folclorico e alle tradizioni balcaniche: tutto ciò non diventa mai pedanteria, ma prevale sempre un’attenzione irridente alla realtà o alle sue possibili metafore.
Wostok è della stessa generazione di Zograf e ne condivide alcune peculiarità. Proviene anche lui da una piccola cittadina della Vojvodina, è anche lui un cultore di territori non propriamente razionalisti (Zograf è affascinato dall’ipnagogia, mentre Wostok si interessa di astrologia, che non vuol dire le previsioni settimanali…). Entrambi hanno in comune un segno che deve molto alla tradizione figurativa popolare. Ci sono però anche molte differenze: il racconto di Wostok non è centrato sulla soggettività autobiografica, ma ha come spunti testi narrativi e letterari della tradizione colta. In essi l’autore inserisce sempre aspetti per certi versi surreali, ironici e umoristici. In particolare è l’umorismo che caratterizza il racconto, inteso nel senso pirandelliano, cioè come elemento che permette di svelare aspetti nascosti del mondo.
In mostra ci sono anche gli autori più giovani di questa scena particolarmente fertile: Maja Veselinovic è un’autrice poliedrica, che opera sia come illustratrice che come fumettista. Ha vinto numerosi premi, e continua ad essere attiva anche come collaboratrice di fanzine e webzine. Il suo disegno ha quella qualità della sintesi difficile da trovare fuori dalla cerchia dei veri illustratori e allo stesso tempo sa raccontare con respiro e delicatezza sia storie di vita quotidiana che brevi e folgoranti pamphlet che ironizzano sulle debolezze femminili (come ad esempio la breve storia “Fitness”). Anche in questa autrice il possibile e il reale si fondono creando un immaginario critico e che amplia notevolmente il nostro modo di comprendere il reale. Un tema a lei caro è quello del meta – fumetto: e forse la sua storia “I fumetti fanno bene al tuo cervello” è una di quelle che meglio analizzano, senza bisogno di noiosi saggi, quale sia l’opinione di Maja a proposito…
Sasa Mihajlovic, classe 1978, è un autore molto noto anche nel mondo musicale perché ha disegnato varie copertine di gruppi di culto. Il suo immaginario pop si scontra con storie che nulla regalano alla melassa e non sono per niente superficiali o sdolcinate. Agrodolci, direi. Sono strisce popolate di coniglietti, funghi, robottini, cuori e altre forme suadenti. Eppure non c’è niente di stucchevole nelle vicende delle sue forme.
Mr. Stocca invece abita un luogo fatto di forme più inquiete e inquietanti. Il suo è un pop che ha avuto sentore degli anni ’80 e che ricorda per capacità metamorfica e visionaria il francese Blanquet. Il paradossale compare e diviene immagine e parte del racconto, ricordandoci che la fantasia è un elemento indissolubile del disegno.
Letac infine è un autore che ben rappresenta quel mondo al confine tra sperimentalismo musicale e fumetto. Egli è stato allievo dell’originale esperienza di laboratorio di Zograf “Cucina” (chiamata così perché si riunivano proprio nella cucina dell’autore serbo). Le sue prime storie raccontano una personale visione dei bombardamenti Nato, meno famosa di quella di Zograf, ma non meno interessante. Il suo rapporto con il “maestro” si materializza nel fatto che a volte Zograf è anche personaggio delle sue storie, ma egli ha un tratto personale e libero.
Il contesto e l’humus dell’ambiente bosniaco dei disegnatori presentati a Sarajevo, insieme alla selezione di autori italiani, è invece completamente diverso.
La Bosnia Erzegovina sconta un problema editoriale comune a molti piccoli paesi. Un pubblico di lettori troppo esiguo per permettere al fumetto progetti editoriali di sperimentazione o ricerca: il fumetto infatti ha costi di produzione troppo alti per piccole tirature. Eppure, anche di fronte a queste difficoltà, questa forma narrativa ed artistica esiste ed è portata avanti da singoli autori e dal gruppo riunito intorno al progetto Stripopeka. Inoltre nel passato ci sono state numerose esperienze fanzinare, difficili da catalogare e recuperare.
Stripopeka è soprattutto un progetto editoriale sul Web, uno strumento che permette ampia visibilità e ridotti costi di produzione. Raccoglie ed espone storie di autori bosniaci da tutto il territorio.
Un territorio dove non ci sono scuole di fumetto, ma esiste una tradizione e una formazione grafica accademica. Chi fa fumetto lo fa perché è riuscito in qualche modo a leggere qualcosa. Certo le letture sono tutte vincolate a lingue altre e spesso orientate alla produzione mainstream (manga e fumetto popolare americano) e questo limita in parte le scelte espressive che rimangono più ancorate a modalità tradizionali di disegno.
Quello che colpisce di più è però la scelta tematica che si incentra sostanzialmente su storie sentimentali, incontri brevi ed intensi, scorci di vita quotidiana. Alcuni, come Boris Stapic, lavorano per grandi ditte come grafici e visual designer, ma non disdegnano le storie disegnate. Filip Andronik, che è invece uno dei fondatori di Stripopeka, si cimenta sia su personaggi supereroistici che su storie umoristiche che sottolineano le contraddizioni della quotidianità. Majo Pavlovic è anche lui di solida formazione grafica, ottime qualità che si riscontrano anche nei suoi lavori a fumetti. Sasa Peric è sia pittore che disegnatore di fumetti e tale doppia identità si ripercuote nella sua produzione fumettistica.
L’aspetto che accomuna questi autori tutto sommato molto diversi tra loro per stile è l’urgenza di cimentarsi nella storia a fumetti. Un’urgenza che ovviamente non nasce da finalità commerciali, ma da pura e semplice passione. Il luogo pulito, scevro da altre finalità, dove essere se stessi.
Due delle tre mostre realizzate, quella di Sarajevo e quella di Belgrado, ospitano anche una selezione di autori italiani. Pur essendo diversi tra loro, sono accomunati da un comune retaggio undeground, simile per molti versi ai disegnatori serbi. Da Baronciani, musicista oltre ad essere disegnatore, che ha realizzato il libro prima spedendo le storie via posta alle persone che si abbonavano al suo progetto fino a Vanna Vinci, autrice di culto della casa editrice Kappa, ci sono molte declinazioni delle ultime tendenze in atto nel fumetto d’autore italiano.
Non si tratta però di una semplice selezione compilatoria o di un’operazione di importazione italiana all’estero: questi autori hanno tutti già avuto un contatto precedente con i paesi dell’Ex Jugoslavia. Squaz e Costantini hanno pubblicato prima su Stripburger che sulle riviste italiane, molti di loro sono stati esposti a GRRR!, il festival curato negli anni passati da Zograf a Pancevo e comunque c’è da anni una sorta di micro comunità di scambio di storie, informazioni, mostre, ecc. che valicano l’Adriatico e superano i cosiddetti ponti creati da progetti internazionali o istituzionali. Difatti tali rapporti si sono realizzati esclusivamente sulla base della curiosità, della reciproca stima e della passione. Non mi sembra poco.
Il fumetto può interrogare il visibile, comunicare idee o grattare la memoria degli autori: sono le tre categorie che John Berger riconosce come peculiari del disegno e che nel fumetto raggiungono un grado di definizione e chiarezza molto significativo. Si tratta di una forma narrativa che proprio perché “povera” ha più dimestichezza proprio con la categoria della passione.
Forse l’autostrada della fratellanza è ormai un nome archeologico della strada che unisce alcune capitali delle nuove repubbliche, ma a volte le storie e i fumetti possono unire e fare incontrare anche senza asfalto.