Catalogo "Daily Iraq"
LibriAparte, 2009
Sir Patrick Leigh Fermor è uno dei più importanti scrittori di letteratura di viaggio. Ma è stato anche coordinatore per l’esercito britannico nel 1944 della resistenza antinazista a Creta. In quella veste egli ebbe un’idea piuttosto ardita, ma che andò a buon fine. Organizzò infatti la cattura del generale del Reich Kreipe, utilizzando partigiani greci travestiti da tedeschi. Il prigioniero fu nascosto in una grotta e fu lì che un giorno l’inglese lo vide, mentre guardava con aria sognante le pendici del monte Ida coperte di neve, mormorando un verso di Orazio “Vides ut alta stet nive Candidum Soracte”. Il futuro baronetto britannico d’impulso proseguì la poesia latina a memoria. Il generale nazista rispose stupito: “Ach so, Herr Major”. E poi concluse: “Vedo che abbiamo bevuto alle stesse fonti”.
Fermor ha raccontato sessant’anni dopo questo episodio al giornalista e scrittore italiano Rumiz , riflettendo su come oggi si sia fatta strage dell’inestimabile patrimonio iracheno: “Pensi a quanto erano preparati i militari di una volta.
Io ero stato mandato in Grecia perché avevo studiato Omero e Kreipe aveva condotto studi classici”. È pur vero che la formazione classicista di tanta parte della gerarchia del Reich non impedì né la Shoah né in generale l’incalcolabile catastrofe della Seconda Guerra Mondiale. Tuttavia è vero che intravediamo in questo nuovo ordine/disordine mondiale un diverso tratto distintivo. Se è vero che la Seconda Guerra Mondiale ha portato in modo ineludibile e definitivo il conflitto tra i civili, sottraendolo ai campi di battaglia dei militari, i belligeranti di questa guerra forse non mondiale, ma disseminata, hanno inserito anche il patrimonio storico tra le vittime. Questo non vale solo per il cosiddetto fronte occidentale: tra i caduti di questa battaglia del simbolico vanno annoverate anche le statue buddiste di Bamiyan in Afghanistan, inizialmente salvate a fini turistici e poi cadute sotto la clava dell’integralismo visivo.
Una guerra che opera sull’ordine simbolico e identitario diventa in qualche modo iconoclasta. Se l’altro può essere riconosciuto attraverso il valore dato dall’immagine di una storia, di un percorso artistico e culturale, il modo più semplice per farlo dimenticare è annientare o saccheggiare ciò che testimonia tale ricchezza.
Nel lavoro di Costantini la sintesi visiva di tale dettato ideologico si coniuga alla volontà imperativa di mantenere un’attenzione costante sul quotidiano del conflitto. Una donna alza le mani colorate di rosso, al centro il doriforo di Policleto con didascalia in tedesco (a ricordarci che furono loro, i tedeschi, a darci l’arma dell’archeologia), poche parole con gestualità calligrafica ci conducono al contesto. Operazione Liberazione dell’Iraq, alcuni luoghi che riconducono anche i più distratti a un senso di colpa nascosto sotto il tappeto di casa, Kirkuk, Mosul, un rituale non catartico, ma evocativo. Gli elementi di ciascuna opera sono un alfabeto della memoria consunta e del suo sbiadirsi, sono una sorta di lenzuolo funebre della nostra coscienza di fronte all’ingiustizia commessa non più da un gruppo di organizzati terroristi, ma dagli stati di cui siamo cittadini paganti tasse. L’epifania dell’opera classica ci riconduce all’interpretazione più sublime della nostra cultura democratica, che “a quella fonte ha bevuto”. Si tratta di un’epifania reduce, che porta i segni visibili della contraddizione e del vicolo cieco. È un alfabeto visivo, la cui narrazione è perturbante e ci rimanda un’immagine di noi che non vorremmo vedere. Raccontare la realtà deforma, la realtà stessa passa a diventare analogia e simbolo e dunque i fatti si trasformano in riconoscimento. Il procedimento dell’epifania di queste opere porta sicuramente alla luce molto di dionisiaco e poco dell’apollineo dell’ideologia classicista. E, sì, probabilmente ha ragione sir Fermor, i nuovi generali sono anche meno colti di quelli vecchi.
Elettra Stamboulis
L’episodio è narrato nel libro di Paolo Rumiz, Annibale, Milano 2008. Sull’episodio esiste anche un film degli anni ’50 con Dirk Bogarde dal titolo italiano Colpo di mano a Creta (tit. or. Ill Met by Moonlight).