Esorcismo mediante disegno 

Testo in “Porto dei santi”, Roma, Purple Press, 2009

 Penso sia una forma di esorcismo. Un atto di interdizione alla dispersione del tempo, il disegnare. Lo è per senz’altro il disegno realizzato guardando direttamente un oggetto, mentre disegnare qualcosa a mente può avere un diverso significato. D’altro canto, nell’esorcismo antropologicamente inteso si utilizza in molte culture il disegno.

I libri di viaggio spesso sono anche disegnati e per noi, curiosi viaggiatori di sguardi, i carnet de voyage degli artisti sono una straordinaria testimonianza della loro ossessiva battaglia contro l’inarrestabile corruzione della smemoratezza. Quel che rimane dell’esperienza dello sguardo posato in quell’attimo su quel luogo scomparirebbe senza l’azione della matita sulla carta. 

Ed è quello sguardo, quella mano che permangono sul foglio in quel momento irripetibile, risultato ben diverso dallo sguardo ricostruttore della macchina fotografica, meravigliosamente rappresentativo, ma non ermeneutico. 

Il disegno racconta il viaggio, la sintesi di tutte le migrazioni dello sguardo dell’artista dalla cosa al foglio, il suo personale riassunto del visibile e la sua interpretazione dello stesso. Oltre ad essere un atto di guerra contro l’abuso del tempo, è anche un atto che ci ricorda che l’apparenza esiste nella singola storia. È un atto di umiltà rispetto alla possibilità di possedere il tutto visibile. Non a caso nell’epoca pioneristica della fotografia essa era sentita come uno strumento capace di contenere il mondo da visionari e idealisti come il banchiere francese Albert Kahn, il quale finanziò, fino al crollo di Wall Street del ’29, un gruppo di fotografi con l’obiettivo di registrare i popoli del mondo. Ma ancora oggi, nei faraonici progetti di fotografi come Salgado, c’è questa utopico obiettivo.

Un disegno di viaggio ci racconta meno la somiglianza e più il viaggio e il viaggiatore. È un racconto visivo di quanto ha ricevuto il disegnatore da quella occasione di guardare.

Chi conosce la malattia del viaggio, sa che il desiderio di cambiare cielo non nasce tanto dalla volontà di cambiare vita, come intendeva Orazio, ma è prima di tutto l’inarrestabile desiderio di vedere che ci spinge a partire. Porto dei santi, che cita nel titolo William Burroughs senza rapporto metaforico, ma per complicità e amore, è un raccolto da vision – teller, ed è ovviamente un altro segno ineludibile della volontà del disegno di raccontare quanto l’artista ha imparato da quella esperienza di visione.