ROM.AGNA Pratiche di transumanti

Pubblicato nel catalogo R.A.M. 2013, GIUDA edizioni, Ravenna

“Trasumanare” è uno degli innumerevoli neologismi utilizzati da Dante e significa andare al di là dei limiti della natura umana, trapassandola, trasformandola, fino a superarla per aderire ad una natura più alta, alla natura divina. Ripresa da Pasolini nella raccolta Trasumanar e organizzar, è diventata la parola guida di questa edizione di RAM: una sollecitazione partita dall’analisi delle biografie degli artisti e curatori vincitori di questa edizione, giocando con una parola affine fonicamente come transumante. Entrambi i termini, uno alto, letterario, l’altro legato alla pastorizia, a una delle attività più antiche dell’uomo, sono legati al viaggio, all’attraversamento, alla condizione mutabile.  

La comunità artistica che ci troviamo davanti ci ha rimandato a questi due concetti: in questa nona edizione di RAM il tema su cui si sono trovati a lavorare gli artisti premiati è emerso da loro, da quello che loro comunicano con le loro storie e biografie. 


La comunità artistica che ci troviamo davanti ci ha rimandato a questi due concetti: in questa nona edizione di RAM il tema su cui si sono trovati a lavorare gli artisti premiati è emerso da loro, da quello che loro comunicano con le loro storie e biografie. 

Una generazione, non solo artistica, caratterizzata da un nomadismo strutturale, abituata al mutamento, destinata alla precarietà come elemento costitutivo della costruzione della storia di vita: questo dato emerge dalle bio, non solo del campione di RAM, ma degli artisti under 35 in generale. Il nomadismo peraltro è stato un tratto riconosciuto anche recentemente nella mostra “Nuovo nomadismo individuale” a Mantova curata da Francesco Barozzi: in quel caso l’etichetta, anche se ironica, era funzionale alla necessità di operare un riconoscimento tra stili e modalità differenti dei dodici artisti selezionati. Nel nostro caso il percorso è stato diverso. Non abbiamo bisogno di etichette e non ci muoviamo nella dérive lettrista: quel meraviglioso giocoso movimento fatto di ragazzi che per le strade di Parigi  negli anni ’40 fermavano i passanti regalando pietre che dicevano essere meteoriti o  comete con “le quali realizzare le nuove costruzioni da sottrarre alla progettazione degli architetti, che riempivano i muri di poliscrittura e che, armati di tutto ciò che il caso gli forniva, inventavano ogni giorno modi nuovi di sabotare lo spazio della città1 Giovani che si divertivano a dare “l’appuntamento possibile”: si dava un appuntamento ad un amico di un amico che non si conosceva con precisione di orario e luogo. Nessuna persona lo aspettava, eppure questo “possibile appuntamento” che lo avrebbe condotto in un luogo poteva conoscere o meno. Comunque lo induceva ad osservarne i paraggi, a chiedere informazioni ai passanti o a muoversi in direzioni inconsulte, realizzando una deriva inconsapevole. Il situazionismo degli anni ‘60 doveva molto alle anticoncezionali visioni di questa esperienza: e al situazionismo si possono ricollegare molte delle esperienze basate sul processo, sull’osservazione del percorso artistico, del fare, più che al risultato, che sono emergenti in questi ultimi anni. Ma a noi non serviva un canone stilistico per mettere insieme gli artisti. Ci interessava osservare come gli aspetti salienti del nomadismo, il suo essere ibrido e meticcio, mescolatore e impuro, fosse alla base non solo di alcuni lavori, ma delle biografie stesse degli artisti vincitori di questa edizione. 

Peraltro il fare e il pensare del più noto e influente artista italiano, Cattelan deve per sua stessa ammissione, molto alla consapevolezza della condizione nomadica “Credo che il nomadismo oggi sia molto importante: non solo ti ricorda come ci si sente da outsider, ma ti aiuta anche a tornare a casa e vedere il posto in cui vivi con occhi diversi, riaperti...”2  

Oltre alla biografia però c’è anche la necessità di allargare il campo dalla propria condizione esistenziale alla riflessione su di esso, sulla categoria di nomade/transumante in questa contemporaneità fatta di lowcost e connessione a banda larga. 

Anche se affascina la psicogeografia, le sue ramificazioni contemporanee, Hakim Bey e la “chiusura della mappa”, abbiamo preferito declinare la ricerca tra questi due poli apparentemente distanti: la trasumanza e il trasumanar dantesco ma ancor più pasoliniano. Tra i nomadi tradizionali, i transumanti sono legati alle stagioni e a luoghi tendenzialmente fissi: le greggi, le mandrie e i pastori si muovono dalla montagna alla pianura percorrendo i tratturi e seguendo il ritmo del clima. Conosciuta sin dall’antichità, la transumanza ha caratterizzato la vita di pastori di ogni Paese d’Europa e non solo: ora è un termine usato anche in rete, per indicare con metaforico pragmatismo il trasferimento di dati particolarmente cari da un sito all’altro... segno dei tempi. 

In questa permanenza di una categoria fisica e terrena del movimento nomadico, si muovono i lavori del fotografo Camorani e Pezzi, del pittore Lanzoni, i trofei inquietanti di Fabiana Guerrini. Anche se l’allenamento al mestiere del’icona, dei milioni di scatti, di riproduzioni filmate, di parole raccolte in poche pagine di libro nel tentativo di produrre una sintesi della nostra vita tende di per sé al trasumanar: ci rendiamo divini, epuriamo le nostre immagini con benedizioni in post-produzione, pregando ogni giorno che qualcuno ci veda, che sia possibile ancora diventare divinità di noi stessi. E sulla labile frangia del polo apparentemente opposto, laconico luogo in cui la materia tende come la metafora o meglio la Sineciosi della diaspora (termine ripreso da Fortini che così definì la sua poesia: connubio tra antitesi e ossimoro, e che intitola una sezione di Trasumanar e organizzar), si trovano i lavori di Naghmeh Farahvash, i leggerissimi mosaici di Samantha Holmes, le installazioni incantate di Maria Ghetti. Nello spazio tramonta e si rinnova il sacro: evidente il tentativo di congiungere gli opposti, renderli visibili, sottoponendo lo sguardo a revisione. Cedono le algebriche costruzioni delle derive identitarie cedono alla dolce dérive gioiosa dei vecchi lettristi. Non difformi dai salti acrobatici dei giovani che fuori dal Mar volteggiano nel parkour. Dimenticano le barriere imposte, i codici preconfezionati e pregiudiziali per aprire nuove strade alla visione e alla geografia del sentimento. La nostra non è quindi un’etichetta, ma una provocazione sensoriale, una citazione dispersa che ha impegnato curatori e artisti per questa mostra/ricerca. 


“Smetto di essere poeta originale, costa mancanza

di libertà: un sistema stilistico è troppo esclusivo.

Adotto schemi letterari collaudati, per essere più libero.

Naturalmente per ragioni pratiche”. (Pierpaolo Pasolini,  Comunicato dell’Ansa, in Transumanar e organizzar, Garzanti, Milano, 1971, p. 66) 


1 Liberamente copiato dal sito dei Luther Blissett.

2 Maurizio Cattelan l’arte di citare, intervista a Barbara Casavecchia.