Cartoon in Khartoum - Intervista a Khalid Albaih

Pubblicato su Linus, maggio (2015)

Giocando con il nome della capitale del suo paese, il Sudan, Khalid Albaih ha chiamato il suo progetto khartoon. Lievemente ironico, ma sostanzialmente politico, è un disegnatore fuori dagli schemi africani. Non fa vignette satiriche, ma usa il disegno per consegnare un messaggio politico. Ovviamente è in esilio dal sul paese dove, come mi ha raccontato a Perugia al Festival del giornalismo, pochi giorni fa hanno chiuso 17 quotidiani in giorno. Così vive in Qatar e lavora come curatore in museo. Non è purtroppo comune incontrare un disegnatore nero: prima di lui avevo conosciuto solo Ho Che Anderson. E come Anderson, ha una chiara visione di questo suo essere raro e del perché è così complicato fare critica politica attraverso il disegno vivendo in paesi autoritari. Tuttavia, proprio come il biografo a fumetti di M. L. King, non usa mezze parole per descrivere quella che per lui è “l’ipocrisia del colonialismo del pensiero”.

Così sei un nero sudanese nato in Romania?

Esatto, sembra quasi una condanna… Ma ci sono rimasto poco. Mio padre era un diplomatico così ci siamo mossi tra Europa dell’est e dell’ovest, e altri continenti. sono andato a vivere in Sudan quando ero ragazzino.


E quando hai cominciato a disegnare?

A disegnare potrei dire da sempre, ma ho cominciato a disegnare fumetti ai primi anni di Università, quando mi sono iscritto alla facoltà di Graphic Design. A quell’epoca giocavo anche per la nazionale di basket…


Che tipo di fumetto hai incontrato e quali ti hanno formato?

Sostanzialmente quello che si trova in Sudan sono le traduzioni della Marvel, Dc comics, Disney, poi i fumetti egiziani e libanesi, e ovviamente i fumetti prodotti nel paese.


Sono curiosa di sapere che tipo di fumetti sono…

Veramente interessanti, ma le riviste sono praticamente morte. Io sono però un lettore forte, soprattutto di Graphic Novel. Ho amato molto Habibi di Craig Thompson, tutto di Joe Sacco. Ho apprezzato moltissimo recentemente Il mio miglior nemico, di Filiu e David B. Sui rapporti tra Medio Oriente e Usa. Purtroppo non si può comprare da noi. È vietato e non capisco perché, è un bellissimo libro di analisi storica molto corretto nell’impostazione. Poi Jerusalem di Guy Delisle. Sono stato pero solo una volta ad un festival di fumetto…al Comicon di Dubai. Ma non ci sono fumetti! Potevi pagare e farti fare foto con famosi disegnatori, ma c’erano solo giochi! Ero proprio frustrato!


Hai però contatti in tutto il mondo…

Sì, per fortuna c’è internet! Ma ho anche partecipato a una trasmissione con Zulkiflee Anwar Haque, il disegnatore malese i cui libri sono stati censurati in Malesia ed è stato anche arrestato per i suoi disegni e con Carlos Latuff su Al Jazeera. (http://stream.aljazeera.com/story/201401290053-0023426). Essere associato a loro è stato per me un grande onore. Mi sarebbe piaciuto che fossero stati invitati a parlare qui anche loro di Charlie Hebdo. Mi dicono che la mia visione è tale perché sono musulmano, ma Carlos è un brasiliano, e la sua posizione non è diversa dalla mia.


Questo è un tema molto complesso per la sensibilità europea. Negli USA ci sono state posizioni ancora diverse. Ad esempio Nicole Schulman, una disegnatrice del gruppo WWIII, ha detto che ovviamente era molto dispiaciuta per quanto accaduto, ma che comunque non poteva sentirsi “Charlie” perché la testata è stata spesso sessista e maschilista…Anche Joe Sacco ha espresso una posizione non dissimile

In qualche modo è anche la mia posizione. Quello che è successo è tragico e ingiusto, ma non muta la mia opinione sulla rivista. Cabu ha partecipato alla Guerra d’Algeria, in generale il loro è stato un discorso dell’odio e viene propagandato come libertà d’espressione. E comunque, lo vuoi fare, ok, fallo. Ma la storia dimostrerà che sei dalla parte sbagliata. Devi dire qualcosa che metta le persone insieme. Devi pensare ai vicini di casa. Quanti musulmani vivono in Francia? Vuoi che ti odino? Tu, come essere umano devi porti il problema dell’incontro, non provocare lo scontro. Non dire, me ne frego, e dico quello che voglio, senza pormi il problema dell’altro.

La storia di Charlie però è diversa: hanno avuto un’attenzione particolare, quasi ossessiva, verso tutte le religioni. Non solo verso l’Islam… Si sentivano liberi di puntare il nostro dito su espressioni della religione, non solo islamica, che percepivano come ostacoli alla libertà…

La questione è come ne parli. Io parlo dei tabù e parlo anche della religione. Non è semplice in società autoritarie come la nostra, ma non ho paura del potere. Non è di quello che parlo. ma della sensibilità che mostri all’altro, al tuo pubblico, al tuo destinatario. Il punto è che lo vuoi fare? Quello per cui combatti è posso dire il cavolo che voglio? La gente muore ogni giorno per avere un minimo di diritti umani, e la questione è dire qualsiasi cosa ti passa per la testa? Credo che l’attenzione all’altro sia sostanziale.

Sono solo un musulmano!
Sono solo un musulmano!

Però per i francesi è un simbolo della libertà di espressione. Se avessero scelto Le Monde o Le Figaro sarebbe stato diverso…

Noi viviamo con questa gente. Li vediamo crescere ogni giorno. Noi siamo le prime vittime del terrorismo. La nostra vita è segnata dalla loro violenza. Ma allo stesso tempo questo non è motivo per me di difendere la linea editoriale di Charlie. Gli attentatori volevano reclamare qualcosa, la loro rabbia voleva colpire questo tipo di obiettivo.


Hanno colpito la redazione del loro quartiere, quella che vedevano ogni giorno passando da lì e più facilmente avvicinabile…

Non lo sapevo. È un dettaglio interessante. Ognuno per me ripeto ha la libertà di dire quello che ritiene giusto. Allo stesso tempo noi come disegnatori abbiamo il dovere di porci il problema del messaggio consegnato: come arriva al destinatario, è uno strumento per creare ponti o dividere. Quali sono i limiti che dobbiamo rispettare perché la critica sia efficace, ma allo stesso tempo rispettosa dell’altro. Senza questo recinto diventiamo non solo fragili, che questo è semplice per il lavoro che facciamo, ma portatori di un discorso d’odio.


Questa intervista è stata realizzata durante il Festival internazionale di Giornalismo di Perugia