Geografia della confessione. Quaderni Ucraini di Igort

Komikazen 6° Festival internazionale del fumetto di realtà, Ravenna 2010

I racconti di fame odorano tutti della stessa assenza e della stessa malinconia. La fame quando colpisce attutisce la reattività, rende passivi e l'aggressività si consuma in pochi attimi, subito vinta dalla stanchezza. Verso la fame di solito le popolazioni faticano a trovare colpevoli: in genere prevale nelle società tradizionali il senso di punizione dovuta al tradimento degli dei/dio, oppure un senso di implacabile impotenza. La narrazione della carestia tra il '32 e il '33 in Ucraina ha alcune peculiarità rispetto a questo tragico canovaccio.

Sebbene gli storici non siano concordi sull'ipotesi di genocidio ucraino, l'idea che la collettivizzazione forzata di Stalin sia stata una delle cause principali di questa carestia chiamata Holodomor e che ha falciato un numero ancora imprecisato (tra un milione mezzo e dieci milioni di persone), è ormai un dato riconosciuto da tutti. Anche lo studioso Douglas Tottle1, che si è interessato all'uso propagandistico della fame ucraina da parte del nazifascismo, non mette in discussione il fatto che la carestia ci sia stata e che abbia falcidiato un numero altissimo di persone e che il ruolo della politica staliniana sia stato determinante. Lo scontro politico e fisico tra kulaki, ovvero proprietari terrieri, e regime si consumò su una delle regioni più fertili del mondo, che in pochi mesi divenne una terra sterile e taccagna. C'è stata un'attribuzione di colpa repentina da parte degli ucraini per questa terribile tragedia. Questa attribuzione di colpa ha contribuito a creare l'identità nazionale dell'odierno stato ucraino che commemora ufficialmente quel tragico periodo con una cerimonia nazionale.

Igort viaggiatore curioso si è imbattuto nelle storie di vita tra Ucraina, Russia e Siberia, e ha cominciato a fare quello che fanno i disegnatori che raccontano storie, ovvero trasferire in segno proprio le immagini e gli uomini incontrati. Il primo libro è dedicato però unicamente all'Ucraina e in particolare all'Holodomor, la grande fame omicida.

La prevalenza delle testimonianze mette in secondo piano la presenza dell'autore e le ragioni che l'hanno spinto a questo lavoro di ricamo disegnato della memoria singolare dei testimoni incontrati.Tuttavia questo libro è pur sempre prima di tutto un diario di viaggio. Igort non è un allievo di Duccio Demetrio, la geografia del privato che traspare dalla sua radiografia del ricordo altrui non è consapevole. Egli non solo ascolta le parole dei testimoni incontrati in questo viaggio di due anni, ma crea per loro un materiale mnemonico disegnato, che ovviamente non è altro che la propria memoria immaginata dell'esperienza di vita altrui. Il viaggio è un territorio rischioso, è un guado, un ponte di transizione verso un appiglio nel luogo che è “là”. Il diario di viaggio è una forma di sostegno di questo percorso iniziatico, la prova tangibile che si è percorsa quella via. Il viaggio inoltre ha nel proprio corredo cromosomico la volontà di avere un pubblico, qualcuno a cui narrare da Ulisse in poi, quello che si è scoperto, trasfigurandolo. La trasfigurazione diviene concreta nella sua forma fumettistica: il medium autodenuncia questa opera di figurazione soggettiva del ricordo.


Anche se Igort ci tiene a segnalare che la passione documentaria gli proviene dal cinema, e cita Wenders di Tokio Ga e Buena Vista Social Club, Herzog, ma anche Capote e Celati per la letteratura, l'autore che più emerge presente in questa costruzione documentaria che intreccia storie di vita e rapporti appena resi pubblici della polizia segreta, resi sempre dall'autore mediante parole e disegni, è il narratore “semplice” Cechov, il Cechov non ancora simbolista, teso alla sobrietà del racconto e alla purificazione da patetismi di ogni genere.


Il fumetto non è nuovo all'indagine del dopo muro. I primi ad oltrepassare la cortina furono Felipe H. Cava e Raùl, che con due viaggi differenti nel 1990 e nel 1993 si posero con Ventanas a Occidente2 quesiti simili a quelli del disegnatore italiano un anno prima della dissoluzione dell'URSS e pochi anni dopo il putch del 1991. Che cosa rimane del grande sogno sovietico? Quale memoria ricostruita, quali speranze inevase o deluse, tutti quesiti che interessano direttamente anche parte dell'Europa, che a quell'utopico miraggio aveva guardato con interesse o paura.

La necessità di misurarsi con il lavoro in diretta, sul campo fuori dallo studio, abbina questi percorsi di ricerca, anche se nel lavoro del duo spagnolo prevale l'intento interpretativo, mentre in quello di Igort c'è un'evidente urgenza di semplicità narrativa e visiva che avvicina appunto alla prosa cechoviana le storie narrate. Ne emerge Un luogo che non è altro che tempo, per dirla con la filosofa spagnola Zambrano citata da Raùl. E non è nel luogo che si svolge la ricerca documentaria di Igort, ma effettivamente nel tempo. E se è l'incontro, che come la poesia giunge non richiesto, la miccia che fa scaturire le storie di Quaderni Ucraini, è nel metodo di lavoro che sta il cuore del lavoro. Sempre Zambrano, che sul tema della confessione e della narrazione del sé ha scritto pagine importanti, diceva Non si scrive certamente per esigenze letterarie, ma per l’esigenza che ha la vita di esprimersi3,e quindi la scelta di modulare il proprio registro stilistico su quello documentario esprime proprio la percezione di essere un canale, un recettore, attraverso cui “la vita si esprime”. È una confessione indiretta, la porta del parroco che ascolta, ma laica, per cui si può utilizzare uno strumento pericoloso come il disegno. Esso difatti non disambigua. Rende solo percettibile senza ulteriori mediazioni la soggettività dell'autore. E qui il confessore si autodenuncia. Non riporta le parole come se “le avessero dette i testimoni incontrati”, ma disegnando le storie, i volti, trattenendo e dimenticando dettagli, tracciando il proprio segno indiscutibile sulla carta, liberando la confessione dal tempo dell'inizio, da quel momento preciso in cui accade per renderci partecipi e anche noi confessori involontari di questa mappa che altro non è se non l'incontro con la nostra tenerezza.

Perché le storie surreali che la fame e la disgrazia interpellano ci portano irrimediabilmente a far i conti con i nostri nonni affamati, con le storie delle nostre famiglie avvinte da guerre non da loro dichiarate, da tutti i sommersi e salvati che nella nostra ricucita biografia sentimentale tutti recuperiamo nella memoria del cuore. E da questo incontro non può che nascere l'empatia di un'umanità lacerata e dolente, che però non rinuncia a trasferire nel narrare le storie la malinconica speranza che ciò possa non più accadere.

1D. Tottle, Fraud, Famine and Fascism. The Ukrainian Genocide from Hitler to Harvard, Canada 1987.

2H. Cava – Raùl, Ventanas a Occidente, Spagna 1994, tr. fr. 1994 per Amok.

3M. Zambrano, La confessione come genere letterario, Milano 1997 p. 40