L'argine: i giusti di Cotignola raccontati in un fumetto

Ha la sua storia la salvezza a fumetti. Anzi, è proprio come se la storia di chi si è salvato da quell'onda, quella totale della Seconda Guerra Mondiale, sia stata la carne con cui il nuovo fumetto, quello che ora chiamano Graphic Novel, si sia fatto.È la storia dei sommersi e dei salvati che fa sostanzialmente da sfondo a quello che viene considerato dai più il capostipite del genere, ovveroContratto con dio di Will Eisner, una raccolta di racconti che hanno per protagonisti proprio coloro che sono al margine della New York della 5th Avenue. Gli ultimi che resistono, che provano a dare un senso al naufragio della storia, come il guardiano tedesco del caseggiato di ebrei malvisto da tutti, e che alla fine fa una scelta assoluta. E poi ovviamente c'è Maus di Art Spiegelman, che ha mostrato che non solo gli ultimi dell'argine, ma anche la memoria della Shoah, dell'indicibile, poteva essere raccontata e consegnata a fumetti.

Certo, con qualche mediazione simbolica, con una cornice narrativa, che non a caso è ripresa anche dalla coppia Lombardi e Girardi ne L'argine, il nuovissimo fumetto di Becco Giallo dedicato a Cotignola e ai suoi giusti. Durò ben 145 giorni la stagnazione del fronte lungo le sponde del fiume Senio, ma la narrazione dei due autori riesce con la levità che solo il ricordo della propria infanzia può dare, a coprire un arco temporale più ampio. È un nonno che racconta al nipote durante un carnevale in paese che cosa fu la sua guerra. Cosa fu negli occhi di lui bambino la paura, ma anche e soprattutto il coraggio dell’inconsapevolezza.

Nel racconto c'è tutta la scoperta di un mondo adulto che poteva anche essere generoso: compare infatti innanzitutto il macellaio mazziniano Zanzi e la sua rete di protezione che funse da rete per la comunità tutta, anche di coloro che sbagliavano, nella convinzione accesa che la giustizia non si fa da sé e che prima di tutto bisogna proteggere i perseguitati, a prescindere dal colore politico. Così le case a Cotignola si aprirono a chi fuggiva. Egli riuscì in quest'opera rimanendo fascista in prefettura, potendo quindi agire quasi indisturbato, cosa che dopo la liberazione lo portò incredibilmente nelle carceri di Ravenna. Poi ci sono i cotignolesi, come il padre del nonno voce narrante: «Non la lascio la mia casa». Resistere malgrado il naufragio. Resistere nascondendosi in posticci rifugi, resistere per rimanere lì, nonostante tutto stesse crollando.

 

Ci sono quindi quelli senza nome, la piccola folla del paese, ma compare ovviamente anche Luigi Varoli, che si sa che è un artista e fa le maschere per carnevale, ma il segreto vero non è la magia della sua arte, ma che la sua casa ospita i perseguitati che potrebbero partire con i treni per la Germania, come gli Ottolenghi di Marina di Ravenna. C'è Don Stefano Casadio e “Leno” Casadio che con l'operazione bandiera bianca mostrarono il 10 aprile del 1944 che un partigiano comunista e un prete insieme potevano fare una specie di piccolo miracolo, far cessare gli ultimi bombardamenti e salvare gli ultimi superstiti e quello che restava del paese fantasma. Tutto avviene sotto gli occhi del piccolo protagonista, voce narrante, che accompagna una capretta a farsi ingravidare e che, in questa simbolica avventura, ricostruisce e ridisegna queste pagine di storia locale, ma anche universale.

E non possiamo non vedere nella capra una “apparizione elementare della vita animale” come scrisse Contini dell'omonima poesia di Saba, una simbolica riflessione della condizione di dolore umana. Così il suo sacrificio diviene atto sacrale, che suggella un percorso iniziatico che porta alla scoperta della possibiltà del gesto di umana solidarietà. È in un certo senso una trasposizione figurativa e narrativa del sacrificio di comunione, che lega una comunità con fili invisibili, che solo attraverso l'arte del ricordo si possono ogni volta riannodare. È nei silenzi che queste pagine acquistano maggiore forza, nella costruzione di sequenze che mettono insieme i due diversissimi segni dei due autori senza l'ausilio del fardello delle parole. In una storia che tutto sommato ha smesso di essere quella di una località, ma che si propone nella sua semplice e tragica esperienza come urgente monito: l’argine sta lì, sempre pronto a indicare da che parte puoi sempre stare.

 

L'opera è stata realizzata grazie al progetto del Museo Civico Varoli, con il contributo di Regione Emilia Romagna e Provincia di Ravenna.