Forse non molti sanno che dall'anno scorso la cattedra di Pittura all'Accademia di Belle Arti di Ravenna è stata affidata ad Andrea Chiesi, un pittore e un intellettuale che attraversa la fine del novecento e le sue inquietudini, arrivando all'oggi con una spirituralità zen che si vede nei tempi lunghi delle sue creazioni. Proviene dall'esperienza emiliana di confine, dove l'ossessione di assoluto per dirla con Tondelli, porta al post punk dei CCCP, con cui Andrea ha collaborato anche poi nel passaggio a CSI. Ha esposto a New York, a Berlino, e recentemente in Cina, eppure rimane sostanzialmente radicato profondamente nel modenese.
Si tratta di piccoli miracoli dello sguardo pedagogico: in così poco tempo gli studenti sono cresciuti di numero e molti hanno deciso di biennalizzare la materia, come ci ha raccontato lui stesso.
E: Che cosa ti ha spinto a insegnare? Non l'avevi mai fatto prima credo...
A: Esatto. Un po' come la pittura, ci sono arrivato tardi. In fondo è una continuazione nella pratica di un metodo che applico da tempo, quello maieutico intedo. Far nascere da dentro, farti scoprire quello che già c'è. È in un certo senso il mio modo di guardare al mondo che credo si veda anche dalla mia pittura.
E: E quindi il tuo metodo didattico immagino non consista nel far ricopiare il tuo stile...
A: (Ride) Scherzerai... Certo, esiste la tecnica e va appresa. C'è chi ce l'ha già tra le mani, c'è chi la deve mettere a punto. Ma quello che conta è il pensiero... Se c'è una cosa su cui insisto è sul fatto che il pittore è un intellettuale. Non può essere altro, non è una mano che disegna, ma è uno che mette sulla tela un pensiero. Quindi è nel dialogo che il pensiero si crea, è quello il luogo vero del mio metodo.
E: La trovi un'attività noiosa o faticosa?
A: A dire il vero sono talmente preso da questa esperienza che mi dimentico di fare la pausa pranzo. Non ce la faccio. Quando siamo lì e lavoriamo tutti insieme mi sembra che qualcosa accada e come fai ad interromperlo? È sicuramente un'esperienza affascinante, perlomeno per me.
E: La tua esperienza di pittore comincia anche essa piuttosto tardi direi...
A: Anche in questo caso è il frutto di un percorso di sedimentazione: ho cominciato disegnando, facendo fumetti e illustrazioni. Avrei voluto essere un rocker (sorride), ma riuscivo meglio in altro... Forse è stata anche l'eredità del lavoro di mio padre, scomparso da poco, che faceva il restauratore.
E: In effetti credo anche io che il rapporto di trasmissione generazionale, soprattutto familiare, sia uno strumento necessario di sintesi e trapasso del fare artistico.
A: Allo stesso tempo fu necessaria anche una cesura, quando lui lasciò l'attività io non la continuai. Feci un salto nel buio con la pittura, che nel frattempo si era fatta più materica. Avevo scoperto la necessità del colore e non più solo della grafite. Non ho però mai abbandonato il disegno.
Non è stato facile e i risultati sono venuti anch'essi con il tempo. Con l'ascolto nel tempo di ciò che mi sembrava necessario. Sicuramente sono stati importanti il Premio Cairo e il Premio Terna. Ma per me dipingere è una forma di meditazione...è una questione di tempo appunto. Anche nella realizzazione sono lento d'altro canto … Il mio tempo è la pittura.
E: Quando ti ascolto mi sembra di attraversare un po' la strada della ricerca anche dei CCCP con i quali tu hai intessuto importanti collaborazioni...
A: Ho conosciuto Ferretti negli anni '80 al tempo del Tuwat di Carpi, un centro sociale in cui di fatto si formarono i CCCP. Feci lì la mia prima mostra di disegni, da giovanissimo. La collaborazione vera e propria invece nasce nel passaggio con i CSI, quando ho fatto sempre con lui il progetto Apocalisse di Giovanni. Con Giovanni Lindo Ferretti c'è ormai una relazione di amicizia, ma ho lavorato anche con Emidio Clementi e molti altri. Fare le copertine dei dischi è stata per me un'esperienza importante, un'esperienza di progetto. Che è sostanziale nel mio percorso pittorico, che peraltro è quello di un autodidatta.
E: Un percorso sicuramente che attraversa molti spazi e luoghi. Ho visto che hai fatto anche molte residenze all'estero...
A: Devo dire che quelle sono capitate. Non è che non ami viaggiare, ma dipingere è il centro. Per esempio in Cina, visto che dovevo fare la mostra, ho chiesto anche di rimanere un po' di più per capire dove ero. È veramente un mondo altro: sai, per me che studio le religioni orientali la Cina rappresenta un po' un territorio di ricerca. Sta sicuramente andando ad una velocità diversa dalla nostra...
Lascio Chiesi all'ingresso dell'Accademia e sono un po' invidiosa dei suoi studenti, che sono accolti da questa apertura, dalla disponibilità all'ascolto. Mi chiedo se forse avrei trovato anche io il modo di aprirmi al disegno con un maestro così, così diverso da giudici con la pistola del voto che invece hanno caratterizzato il mio percorso di formazione. Ma poi mi dico che ognuno ha il tempo che gli è dato e, per dirla con Emidio Clementi, “Noi facciamo ciò che siamo”.