Alekos Panagulis che diede voce allo sdegno contro la dittatura dei Colonnelli in Grecia

Morire di maggio ci vuole tanto, troppo coraggio cantava un poeta e anarchico italiano. E proprio il 1 maggio del 1976 muore in un incidente che cela ancora molti risvolti dubbi Alekos Panagulis, il poeta, a suo modo anarchico, che aveva dato la voce allo sdegno per la dittatura dei Colonnelli in Grecia che durò ben sette anni, dal 1967 al 1974. Anche il suo ultimo messaggio scritto, su un tovagliolo alle 2 di mattina di quel sabato di maggio, risulta incompleto, di difficile decifrazione: Ricevetela come un'espressione di angoscia che nasce dalla …  e le ultime parole non si leggono. Si vede solo la sua firma, scritta di fretta. Doveva andare, aveva quell'appuntamento pesante, che aveva evitato già diverse volte. Condannato alla pena capitale per l'attentato fallito a Papadopoulos, aveva già dato forfait all'appuntamento fatale: si erano mossi per chiedere clemenza studenti, partiti, ma anche leader politici delle diverse parti, persino il Papa. 

Le sue parole avevano risuonato nei teatri e nei concerti di tutta Europa, portati in giro dalla musica di Theodorakis: erano state cantate anche a Ravenna, al Teatro Alighieri. Era diventato la voce di tutti, il tirannicida: una figura che sta alla base della tradizione democratica dell'antica Grecia. Eppure, con il (lungo) processo di democratizzazione, Alekos aveva fatto un po' a pugni. Intanto, era considerato dai partiti di sinistra storici un eroe solitario, incomprensibile a tratti. Molti pensavano ad una vendetta personale. Il fallito tentativo di uccidere il collonnelo era stato letto come atto individuale. Sì, perché prima di Alekos nella conservatrice famiglia di ufficiali di carriera c'era stata un'altra vittima, il fratello maggiore Giorgio. Una vittima che non ha mai avuto né un funerale, né una tomba. Rimane un mistero la storia della sua sparizione. Quello che si sa, è che cercò asilo politico, disertando dall'esercito all'avvento della giunta militare. Aveva viaggiato cercando aiuto attraverso la Turchia, la Siria, il Libano … in tutti questi luoghi aveva cercato rifugio nelle ambasciate italiane, ma gli era stato rifiutato, non aveva i documenti. Finì in Israele, lo credettero una spia araba, alla fine lo imabarono su una nave per la Grecia. Lo intercettarono gli agenti governativi. Fine della storia. 

Il suo corpo non fu mai ritrovato. La madre, Athina Panagoulis – una donna che mi ha sempre ricordato la madre di Impastato - non ha mai creduto alla sua morte. 

La vicenda intrecciata di questi due fratelli (ce n'è anche un terzo, ma vi dirò tra poco) ha incontrato l'occhio empatico di un altro poeta che ha vissuto una vicenda simile, di cui in parte ha sempre taciuto, Pier Paolo Pasolini. Anche lui aveva avuto il fratello, più giovane, ucciso durante quella sanguinosa e inspiegabile guerra civile di fine Guerra Mondiale. Guidalberto, nome di battaglia “Ermes”, fu infatti ucciso come partigiano della Osoppo da partigiani comunisti. Una vicenda su cui lo stesso Pier Paolo, per non parlare della madre Susanna che non a caso fu immortalata come 

Madonna nel “Vangelo secondo Matteo, stenderà un silenzio doloroso, perché proprio lui non trovava le parole. Così Pasolini quando Panagulis è in prigione scrive di lui, e quando Pier Paolo viene ucciso a sua volta l'amico greco paga pegno: Voce umana, vestita di bellezza, è quella che ci devi. E termina Tu non dovevi andare via... Non sapeva che il suo destino era di nuovo simile. Così comincia la poesia che Panagulis dedica all'amico fratello italiano. 

Chi rimane a tessere la tela? Questa è una vicenda di donne che sopravvivono, che portano come mantello una memoria incandescente. La madre di Pasolini e Panagulis, Oriana Fallaci, la voce giornalistica della storia per antonomasia, lei che la Storia la intervistava. E una donna attrice, interprete legata al sacro e al teatro di Leo de Bernardinis, fuori dal coro nel suo essere fisicamente e drammaturgicamente legata ad un teatro fisico e mistico allo stesso tempo, ne raccoglie come i fili dismessi. Tocca un mistero che richiama il senso del tragico connaturato alla messa in scena classica, dove il tirannicida si trova a suo agio. E di che cosa si alimenta un melologo su un poeta che porta iscritto nel suo DNA poetico e biografico l'etichetta del martire? Delle parole di una donna, compagna per un pezzo di vita del poeta. 

Oriana Fallaci è difatti la testimone, colei che lo racconta, che trova le parole per dirlo. Che la poesia non basta, non attraversa i muri spessi di un mondo grondante di altro, di discorsi ricorsivi e di chiacchiera di intrattimento. Oriana è la testimone, diventa l'essenza del racconto di Panagulis, quasi lo sostituisce. Provate a cercare oggi le tracce di Alekos nelle librerie, nelle bibliografie anche più colte. Persino nella musica greca, conservatrice in senso alto di una tradizione aedica e fieramente orientale, che fa da ponte tra un imperscrutabile Oriente e un Occidente che non riconosce i confini geografici, ma quelli del potere, ecco persino nella musica ellenica le canzoni con i testi di Panagulis non vengono più trasmesse alla radio, cantate e ballate come altri pezzi della memoria collettiva e popolare ellenica. Rimangono una reliquia di un'epoca di eroi a cui tutti (molti) attingono per giustificare la loro ipotetica rivoluzionarietà, o comunque difformità, ma che viene venerata come reliquia in occasioni memoriali.

Panagulis è una reliquia, portata come ostia nel confuso mondo politico greco, che grida continuamente alla memoria salvifica, per poi dargli fuoco fisicamente in occasioni politicamente discutibili come l'annullamento degli archivi di polizia, perpetrata da un governo del partito di destra Nuova Democrazia e del KKE. Quest'ostia continua a dispensarla il fratello minore dei due Panagulis morti o uccisi (su entrambi l'ambiguità è comune). Stathis, che giovanissimo diventa anche lui un detenuto politico, da esiliato politico conosce e incontra leader politici, intellettuali europei, e porta come bandiera da innalzare il nome del fratello, attraversa partiti, le cangianti configurazioni politiche, gli umori collettivi. Spesso tacciato di essere un beone, famoso per la sua caparbia arroganza verbale, per le sue uscite fuori dal bon ton politico, per il suo essere “dobros” (parola slava e quindi balcanica per dire schietto, diretto). Aspetti che lo hanno portato ad essere anche lui un solitario, una specie di meteora politica che anche ultimamente lo ha riportato al destino di espulso dal partito. Meteora. 

Il ritorno di Elena Bucci e di Luigi Ceccarelli, che indaga la sonorità di questa assenza / presenza di un poeta, ma anche indirettamente di coloro che hanno fatto parte di questo atto tragico, è un nostos doloroso verso un'isola che sicuramente non c'è. O meglio, esiste nelle memorie d'infanzia, non solo biografica ma anche politica, di molti adulti di oggi. Chi ha conosciuto Alekos attraverso il romanzo “Un uomo”, spesso ha conosciuto molto di più. Chi avrebbe voluto essere, e non ha avuto l'opportunità di diventare. Di lui rimane niente, e così sia. 

 

Articolo apparso su Ravenna FestivalMagazine 2019

Su Elena Bucci http://buccielena.blogspot.com