Nomadi per scelta e per necessità

La fotografia come forma terapeutica e i viaggi fino in Taiwan di Nastynasty di Elettra Stamboulis

 

Dopo una serie di residenze artistiche all’estero che li hanno portati dal pack russo all’avveniristica Taiwan, il duo Nastynasty© è ora ospite del programma di “casa temporanea” per artisti di Ardis Hall. Emiliano Biondelli e Valentina Venturi vengono da esperienze e traiettorie diverse, ma sono accomunati dall’interesse «per come le cose reagiscono alla luce», per dirla con Valentina.
Come siete approdati alla fotografia? Mi ricordo di Valentina tecnico delle luci...
V: «Effettivamente mia madre quando mi ha visto srotolare dei cavi non l’ha presa bene. D’altro canto io vedo una linea coerente di ricerca: dall’istituto d’arte Severini al Dams indirizzo Arte, alle luci sul palco alla fotografia, c’è questo continuo stupore per come la luce si posa sulle cose».
E: «Il mio, forse, è un percorso più obliquo. Sono ragioniere, e dopo il diploma ho fatto il consulente del lavoro...»

È difficile immaginarti in questo ruolo...
E: «Anche per me lo fu, faticoso. Cercavo una fuga, una forma di liberazione, così mi iscrissi all’università a Conservazione. Poi andai in terapia, dove portai la serie di fotografie che mi facevo come forma di individuazione. Il terapeuta mi disse che era interessante, che forse potevo usare questo mezzo per indagare anche altro».

Quindi la fotografia come forma terapeutica e di ricerca...
V: «Sì, una sorta di strumento di indagine, che però scardina le cose più che metterle in ordine. È una ricerca centrifuga, più che centripeta, la nostra. Un guardare per evidenziare quanto c'è di storto o inaspettato».

E il nome? Questo curioso Nastynasty©...
E: «Volevamo qualcosa che ricordasse il linguaggio dei teenager, quello che non siamo più. Quella lingua che abbiamo scordato. Allo stesso tempo volevamo qualcosa che desse l'idea di un brand, non di una o più persone. Noi non siamo artisti che impongono la loro visione, ma allo stesso tempo viviamo in un mercato».
V: «Cerchiamo piuttosto di cogliere la falsità della visione. Il nostro non è carotaggio in profondità, ma una lieve deformazione».

Quest’anima irrequieta e curiosa vi ha portato peregrini all’estero. Come è successo? Cosa succede in residenza artistica? È un’occasione o una possibilità dentro l'impossibilità del lavoro artistico in Italia?
V: «Direi che ci sono entrambi gli aspetti. Noi siamo partiti dalla ricognizione della  Romagna, con BlisterZine, che è un progetto editoriale autoprodotto, abbiamo inaugurato la pubblicazione con R.i.p. Real Italian Patriot: una interpretazione fotografica della commemorazione garibaldina del nostro territorio».
E: «Poi con I Folk U e gli sciucaren, che hanno riscosso un'attenzione incredibile in Giappone...».
V: «In realtà questi progetti, che forse un po' ingenuamente avevamo proposto anche sul territorio, qui non hanno mai ricevuto attenzione, mentre all’estero sono stati un po’ il nostro viatico. La residenza artistica però funziona su un progetto che si sviluppa nel luogo in cui si va. Ci sono siti che danno informazioni sulle residenze attive e credibili, è il luogo giusto da cui partire».
E: «Noi prima partiamo dalla questione che ci interessa, diciamo dal tema e poi selezioniamo l’area a cui fare domanda. Ad esempio, nel progetto sul potere della fotografia è venuto spontaneo rivolgersi all’area asiatica, in particolare Taiwan, che è uno dei luoghi in cui si producono più dispositivi mobili che permettono a chiunque di fotografare. Quasi costringono a farlo».

Qual è il valore aggiunto della residenza? Essere nomadi è una condizione connaturata all’essere artisti?
V: «In questo momento è la modalità con cui si può lavorare. L’Italia è al palo, chiusa ancora nel sistema delle scuderie, con le gallerie che stanno saltando una ad una».
E: «Il nostro poi è un lavoro misto, ibrido, difficile da rinchiudere in un format. Per cui la possibilità di essere e guardare fuori, ci permette di fare progetti che qui sono ancora in divenire. Prendiamo ad esempio il libro d'artista, un modo intermedio con cui il formato libro sta tentando la sopravvivenza interagendo con il processo artistico...».

Sarà quindi particolarmente stimolante visitare sabato e domenica il risultato dell’open studio all’Ardis Hall, perché seguire le traiettorie mobili della progettualità di Nastynasty© sul globo è possibile solo virtualmente. Oppure comprando i progetti editoriali, raffinati ma anche indocili, che ne testimoniano il tragitto.